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Politica e Sanità

21 Febbraio 2019

Accesso università, aperto vs chiuso: ecco cosa ne pensano i farmacisti


Da più parti e da diverso tempo è in corso il dibattito se l'accesso all'università debba essere aperto, senza limiti, o debba prevedere, al contrario, una qualche forma di selettività, sulla base di un fabbisogno di professionisti stabilito a livello nazionale o sulla base della capacità ricettiva delle strutture universitarie. Un dibattito, questo, che è in corso in primo luogo in Parlamento, a fronte di diverse proposte che vanno nell'una o nell'altra direzione, per rivedere il sistema di accesso, ma anche all'interno del mondo della salute, con un confronto che vede, per ogni campo, tra i protagonisti medici, odontoiatri, farmacisti e altre professioni. Di recente, il tema è stato riportato all'attenzione da alcune rappresentanze, Fofi e Fenagifar. In attesa che anche altre sigle si esprimano sul tema, Farmacista33, tramite la sua pagina Facebook, ha lanciato un sondaggio, per conoscere cosa pensano i farmacisti, o chi gravita attorno al sistema farmacia, del tema. Senza alcun tipo di pretesa di esaustività, è interessante iniziare a rendere conto del dibattito, alle sue fasi iniziali, che si è sollevato, sul social e attraverso i commenti pervenuti in redazione.

Il sondaggio, che prevedeva due possibilità, è partito dalla domanda "È in corso, anche in Parlamento, il dibattito sull'accesso alle Università. Secondo te, per il corso di laurea in Farmacia e Ctf, l'accesso dovrebbe essere libero o con numero chiuso?". A partecipare sono stati circa 500 utenti e, stando a un primo riscontro dei dati, a favore dell'accesso libero è il 29% dei rispondenti, il restante 71% ha espresso la sua preferenza per il numero chiuso. Per quanto riguarda le posizioni, tra quelle sui social e quelle arrivate in redazione, c'è chi ha indicato il numero chiuso come soluzione al problema occupazionale. Un fenomeno destinato ad accrescersi a fronte di un mercato del lavoro non sufficientemente dinamico per poter assorbire di anno in anno un numero di laureati in aumento. Il numero chiuso, poi, secondo alcuni, garantisce una base di selettività, anche se l'attuale sistema dei test non è in grado di valutare capacità e preparazione dello studente.

Di contro, c'è chi ha rilevato come il problema occupazionale sia generalizzato e non riguardi solo il settore. Il numero chiuso potrebbe significare chiudere la possibilità a sbocchi che non necessariamente si indirizzano verso il comparto o verso il Paese e, dall'altra parte, introdurre criteri di selettività che poco hanno a che fare con il merito, che invece potrebbe esprimersi, almeno in parte, dalla risposta che il mercato dà al singolo professionista. L'università inoltre è sentita in generale come occasione di crescita culturale. In aggiunta, se al momento il settore vive una fase di stallo, non è detto che così sarà anche in futuro: il numero chiuso rischierebbe di non dare la possibilità al comparto di svilupparsi, laddove ve ne fosse l'occasione. Anche perché le idee sono spesso frutto di una evoluzione individuale e collettiva.

Tra i vari commenti, a ogni modo, c'è anche chi ha rilevato la necessità di riformare il corso di studi che non è più in grado di rispondere alle esigenze del farmacista al banco. In particolare, tra le proposte, c'è un corso di laurea unico, maggiore attenzione al consiglio, approfondimenti sulla clinica, per una migliore gestione del paziente, alla galenica, alle interazioni tra farmaci, alla fitoterapia, alla omeopatia, ma anche alla gestione aziendale e al marketing. Messa in luce poi la necessità di una maggiore preparazione sul tema della farmacia dei servizi, con un focus sulla telemedicina, come pure la necessità di maggiori competenze in ambito nutrizionale. C'è poi chi ha proposto un allungamento a sei anni, con l'ultimo interamente dedicato alla pratica.

Francesca Giani

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