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giu102016

Antidepressivi, la maggior parte è poco efficace in bambini e adolescenti

Antidepressivi, la maggior parte è poco efficace in bambini e adolescenti
Nei bambini e negli adolescenti con depressione maggiore molti degli antidepressivi disponibili sono inefficaci e talvolta pericolosi, secondo uno studio pubblicato su The Lancet da cui emerge che di 14 farmaci solo la fluoxetina allevia i sintomi depressivi meglio del placebo, mentre la venlafaxina sembra associarsi a un aumento del rischio di pensieri e tentativi suicidari. «L'equilibrio tra rischi e benefici degli antidepressivi nel trattamento della depressione maggiore non sembra offrire chiari vantaggi in bambini e adolescenti, con la probabile eccezione della fluoxetina» esordisce il coautore Peng Xie della Chongqing Medical University in Cina, aggiungendo tuttavia che senza l'accesso ai dati degli studi non solo è difficile ottenere stime accurate degli effetti dei diversi farmaci, ma non è neppure possibile verificare l'accuratezza dei risultati descritti negli articoli pubblicati o meno. «Centinaia di migliaia di persone nel mondo hanno accettato di partecipare a studi per trovare cure migliori per le loro malattie contribuendo al progresso della scienza medica ma, pur garantendo la privacy dei pazienti, ogni ritardo nell'attuazione di politiche responsabili nella condivisione dei dati potrebbe avere conseguenze negative sulla ricerca clinica, come dimostrato in questo studio» scrivono i ricercatori, ribadendo che l'accesso ai dati grezzi racconti dai diversi gruppi di ricerca offre l'opportunità non solo di validare e replicare i risultati, ma anche di studiare in modo approfondito specifici fattori specifici in grado di influenzare i risultati del trattamento a livello del singolo paziente. E in un editoriale di commento Jon Jureidini dell'Università di Adelaide in Australia, osserva: «In quattro studi sulla paroxetina solo il 3% di 413 eventi suicidari sono stati riportati nel gruppo attivo rispetto al placebo, cosa che sembra poco plausibile in quanto dalla rianalisi dei dati di uno solo di questi studi emergono dieci eventi in 93 pazienti trattati. Secondo l'editorialista i pazienti che partecipano a studi clinici randomizzati hanno il diritto di aspettarsi il massimo beneficio per tutti dai dati che generano, in contrasto con chi invece pensa che l'accesso a tali dati sia incompatibile con i vincoli di proprietà intellettuale e la privacy del paziente.
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