gen302017
Consegna senza ricetta, l'avvocato: farmacista non assolto, la pratica è da rifare
Per valutare la legittimità della dispensazione di un farmaco etico in assenza di ricetta e in caso di estrema necessità e urgenza la normativa di riferimento è il decreto del Ministero della Salute del 31 marzo 2008, che supera, per questi aspetti, quanto previsto nella Convenzione farmaceutica - «il farmacista consegna altro medicinale di uguale composizione e di pari indicazione terapeutica» - e il Codice deontologico, che prevede la dispensazione senza ricetta «per salvare, chiunque ne faccia richiesta, dal pericolo attuale di un danno grave alla persona». Sono questi alcuni punti messi in luce dal commento, a firma di Gustavo Bacigalupo, dello studio associato Bacigalupo-Lucidi, alla sentenza della Cassazione (n. 55134 del 29 dicembre 2016) sulla dispensazione di farmaci urgenti. La vicenda riguarda un farmacista della provincia di Trento che aveva rifiutato di consegnare un farmaco iniettabile antipiretico per un malato terminale, in crisi di iperpiressia, in assenza della prescrizione medica. Il farmacista era stato assolto in primo grado ma condannato dalla Corte di appello di Trento e proprio su questo giudizio si è espressa la Cassazione che «ha annullato, sì, la decisione ma con rinvio ad altra sezione - quella distaccata di Bolzano: ha accolto quindi l'impugnativa, senza però assolvere l'imputato, cosicché il giudice d'appello dovrà occuparsene ancora e ripartire in pratica da zero».
Tanti sono i rilievi che si possono fare sulla sentenza, ma l'aspetto importante per i farmacisti richiamato nel commento è il fatto che, per dirimere la questione, la normativa di riferimento è soltanto il DM del 2008, con la conseguenza che «circoscrivendo a quelle del DM Salute le disposizioni regolatorie della consegna del farmaco "in caso di estrema necessità e urgenza", ha ridotto ai minimi termini quel non modesto margine di discrezionalità riconosciuta al farmacista» dal Codice. Entrando nei termini della questione, il DM Salute fissa le condizioni «perché il farmacista sia tenuto a consegnare, in assenza di prescrizione medica, un medicinale», tra le quali prosecuzione del trattamento di un paziente affetto da patologia cronica, prosecuzione del trattamento in questione pur in assenza di patologia cronica, dimissioni ospedaliere. Ma, come rileva sinteticamente la Suprema Corte, continua Bacigalupo, «a tutela della salute del paziente il decreto ministeriale subordina la consegna del farmaco "in caso di estrema necessità e urgenza" alla condizione essenziale che il farmacista sia in grado di rilevare lo stato di malattia del paziente attraverso dati che emergano direttamente in farmacia (altre ricette per medicinali similari) o forniti dall'interessato (documentazione attestante la patologia, ricette scadute, dismissione ospedaliera) ovvero per conoscenza diretta delle condizioni del malato, mentre consente la dispensazione senza ricetta dei farmaci iniettabili, esclusi l'insulina e gli antibiotici monodose, soltanto in caso di dismissione dall'ospedale».
E, aspetto importante, «a noi pare che - al ricorso di una delle condizioni, comunque per lo più oggettive, indicate negli artt. 2, 3, 4 e 6 del provvedimento ministeriale - le prescrizioni del DM obblighino il farmacista a dispensare il farmaco richiesto, invece vietandoglielo laddove, al contrario, nessuna di esse si riveli sussistente». Crediamo cioè «che nel decreto ministeriale la consegna, come il rifiuto di consegna, del medicinale richiesto "in caso di estrema necessità e urgenza" non costituiscano generalmente una facoltà del farmacista, ma siano oggetto di un obbligo o di un divieto». In sostanza, «l'inosservanza del primo (l'obbligo di consegna) potrebbe perciò configurare - anche se qui avremmo qualche dubbio in più - proprio il reato di omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p. per il quale era stato condannato in appello quel farmacista trentino, mentre l'infrazione al secondo (il divieto di consegna) comporta, secondo i casi, una delle sanzioni amministrative (in sostanza da 200 euro in su) previste nell'art. 148 del D.Lgs. n. 219/2006, ma con il rischio di coinvolgimento - nelle vicende più gravi - dell'esercizio della farmacia. Fermi, s'intende, i profili deontologici».
Francesca Giani