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Politica e Sanità

13 Novembre 2018

Crisi, più attenzione a rapporto debito-fatturato e a ricapitalizzazione


La percentuale di debito rispetto al fatturato di un'impresa, sia essa farmacia o altro, è un valore da tenere costantemente sotto controllo perché ne indica il livello di salute. Ma quali sono le componenti del debito? «Non sempre la percezione di cosa sia il debito è diffusa. Se fino ad ora il nostro settore ci ha garantito la possibilità di avere una componente debitoria elevata, oggi questo è sempre meno vero e si fa più stringente la necessità di ridimensionare il debito, anche per dare più serenità all'azienda e più capacità di investire». A fare il punto Marco Alessandrini, Ad di Credifarma, in un recente intervento alla Convention di Federfarma Servizi.

«Complice la pianta organica o un mercato, quello della salute, che ha risentito, meno di altri, della crisi, la farmacia ha tenuto molto più di altre aziende. In un Paese come il nostro in cui non c'è più crescita, la farmacia è stata in grado, a fronte di una Dcr che in nove anni è calata 35%, di mantenere pressoché inalterato il fatturato. Ma proprio questa grande stabilità è all'origine di una criticità del nostro settore: il sovradimensionamento dell'indebitamento. Qui c'è una buona notizia: nessun altro settore merceologico è riuscito a permettersi un analogo livello di debito e questo significa che la farmacia è sana e ha una sua profittabilità. Ma, soprattutto in questa fase storica ed economica, questo non può più continuare. Il debito va ridotto e va riportato a una soglia di garanzia, che ridia serenità all'azienda e le permetta di investire e di costruire la sua impronta sociale e professionale». D'altra parte, «è anche una questione di stabilità finanziaria: occorre tenere in considerazione che fino a un certo livello il debito è fisiologico e non rappresenta un problema. Tuttavia, oltre una certa soglia, diventa un fattore di rischio particolarmente importante». Questa «è una percezione non sempre diffusa tra le farmacie e nemmeno lo è ciò che compone il debito, che può essere verso banche, finanziarie, verso i fornitori, come la distribuzione, ma anche verso enti previdenziali, e così via. E proprio la composizione del debito è cambiata negli ultimi anni: oggi per il 70% è di carattere commerciale, cioè verso la distribuzione, e per il 30% finanziario, mentre non molto tempo fa questo mix era invertito».

A ogni modo, sul fronte della stabilità, «laddove nel bilancio la percentuale di debiti sul fatturato è intorno a una quota del 40%, siamo in una situazione gestibile. Man mano che questa percentuale sale, ci avviciniamo a una soglia di allarme, che inizia a scattare intorno al 60%. Se si passa a un 70%, ci si avvicina a una soglia di rischio». Ecco allora che oggi, «in molti casi, ci troviamo nella necessità di operare per ridare equilibrio». Uno dei problemi, in questa direzione, segnala Alessandrini, «è costituito dal prelevamento da parte del titolare. Questa pratica, laddove presente, va interrotta perché quello che c'è nella cassa appartiene all'azienda». Inoltre, «occorre poi andare a rimettere all'interno dell'azienda quella liquidità che è stata prelevata nel corso degli anni. Questo per mettere in sicurezza l'azienda. Certo, questa può essere una strada faticosa, ma siamo chiamati, proprio in questa fase storica, a compiere una scelta in favore dell'impresa». In generale, «occorre anche ridurre l'indebitamento, prioritariamente quello sensibile, quello caratterizzato da una maggiore volatilità. Anche perché il creditore potrebbe chiedere il rientro delle linee di credito o altro. Tutte situazioni che potrebbero mettere in crisi l'azienda. Questo implica, allora, cercare di trasformare il debito di breve termine in un debito di lungo termine».

Francesca Giani

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