mar22015
Fans negli infartuati in terapia antitrombotica aumentano rischio di sanguinamento
Nei pazienti in terapia antitrombotica dopo un attacco di cuore, l'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) si associa a un aumentato rischio emorragico, di eventi cerebrovascolari acuti e morte cardiovascolare anche dopo un trattamento a breve termine. Ecco, in sintesi, quanto emerge da uno studio pubblicato su Jama e coordinato da
Anne-Marie Schjerning Olsen del Copenhagen university hospital a Hellerup in Danimarca. «Le attuali linee guida raccomandano che ai pazienti colpiti da infarto miocardico deve essere prescritta per i primi 12 mesi una terapia antitrombotica doppia con aspirina e clopidogrel, seguita da un solo farmaco» esordisce l'autrice, precisando che sebbene le probabilità di sanguinamento da antitrombotici aumentino con tutti i Fans, alcuni di essi come l'ibuprofene possono ostacolare l'effetto antiaggregante dell'aspirina aumentando il rischio cardio- e cerebrovascolare. Così Schjerning Olsen e colleghi hanno esaminato il rischio di eventi acuti tra i pazienti con pregresso infarto miocardico trattati usando i dati dei registri nazionali danesi tra il 2002 e il 2011 relativi a 61.971 pazienti di età media 68 anni trattati con antitrombotici, di cui il 34% ha avuto almeno una prescrizione di Fans. E l'analisi dei dati indica che questi ultimi raddoppiano il rischio di sanguinamento e aumentano quello cardiovascolare, indipendentemente dal trattamento antitrombotico in corso, dal tipo di Fans utilizzato o dalla durata della sua assunzione. E in un editoriale
David Moliterno della University of Kentucky a Lexington, commenta: «L'evidenza disponibile ci ricorda che i Fans possono favorire una qualità di vita soddisfacente, ma sottolinea che tra i pazienti con infarto miocardico recente il loro uso rischia di scatenare significativi sanguinamenti e di aumentare il rischio ischemico». E conclude: «Dato che lo studio ha monitorato solo i Fans assunti mediante prescrizione, è possibile che l'effetto sia ancora maggiore nei paesi, tra cui gli Stati Uniti, dove gli antinfiammatori non steroidei sono ampiamente disponibili come farmaci da banco».