ott52015
Farmaceutica, fiore all'occhiello del made in Italy. Scaccabarozzi: «La nostra risorsa è la forza lavoro»
Sono 174 le fabbriche dell'industria farmaceutica in Italia, con 63 mila addetti e 2,5 miliardi di investimenti nel 2014. Un settore che, nell'ultimo anno, ha registrato un aumento della produzione (+4,5%) con 28,7 miliardi di euro e il massimo storico raggiunto dall'export (72% della produzione) con 21 miliardi. I dati sono stati presentati nel corso del roadshow di Farmindustria
"Innovazione e Produzione di Valore. L'industria del farmaco: un patrimonio che l'Italia non può perdere", nello stabilimento Angelini di Ancona. Per
Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, il settore è «il fiore all'occhiello del Made in Italy. Abbiamo l'ambizione - ha detto - che se sarà garantita la stabilità delle regole degli ultimi due anni, potremo diventare un hub globale e il primo paese produttore in Europa, superando la Germania».
Presidente, esiste un modello a cui l'industria del farmaco, negli anni, si è ispirata per raggiungere i risultati eccellenti di oggi e a cui gli altri settori dovrebbero rifarsi?
Il modello è quello di credere in un Paese che ha delle risorse infinite soprattutto in qualità, non solo tecnico-produttiva ma delle risorse umane. Noi riusciamo, veramente, a fare la differenza ed esprimiamo una qualità nel panorama mondiale grazie alle persone che lavorano nel farmaceutico. È soprattutto il capitale umano di cui disponiamo che ci permette di competere e vincere di fronte a Paesi che, nonostante costi più bassi, non raggiungono livelli di eccellenza come i nostri.
Italia e Giappone in vetta per qualità della vita e longevità. Crede che all'industria del farmaco, che ha contribuito a questo risultato, sia riconosciuto questo merito?
Sinceramente no, sebbene l'aumento della vita nel nostro Paese sia dovuto per il 40% proprio ai farmaci. Un esempio significativo sono i malati oncologici: nella sopravvivenza ai tumori, infatti, due persone su tre dopo 5 anni sono ancora in vita e l'83% di questa sopravvivenza è resa possibile dai farmaci. Purtroppo non c'è consapevolezza del valore che ha l'innovazione nel campo della farmaceutica e, nonostante fino a pochi anni fa non avessimo queste performance, oggi stiamo facendo salti innovativi veramente importanti che andrebbero valorizzati e incentivati.
Al di là di queste innovazioni e delle eccellenze del settore, quali sono ancora i punti deboli del "sistema farmaco"?
Sicuramente la politica, che fa fatica a riconoscere il valore del farmaco in quanto tale, in quanto non solo valore economico per il Paese, viste nostre produzioni, l'industria e l'export, ma proprio in termini di differenziazione rispetto al passato e di innovazione nell'aggiungere vita e guarire malattie che erano inguaribili. Le malattie oncologiche, ad esempio, oggi si curano con terapie orali senza che il paziente debba recarsi in ospedale.
Qual è secondo lei il settore farmaceutico che stenta di più ad innovare e a raggiungere risultati soddisfacenti?
Nell'area delle neuroscienze ci sono stati fallimenti importanti purtroppo, nella cura del Parkinson ad esempio, e questo è un peccato. Ma sono errori che fanno parte delle regole. Purtroppo solo il 3,6% delle nuove molecole ha una percentuale di successo e arriviamo al 14% dopo gli studi di fase due. È un rischio che fa parte delle regole del gioco che noi conosciamo molto bene, ma che spesso non viene preso in considerazione dagli stakeholder.
Rossella Gemma