lug262016
Farmaci antidiabetici, nessuna differenza significativa nel rischio mortalità cardiovascolare
In una coorte di quasi 120.000 adulti con diabete di tipo 2 non sono emerse differenze significative nell'associazione tra una delle 9 classi disponibili di ipoglicemizzanti e rischio di mortalità cardiovascolare o per tutte le cause, secondo uno studio appena pubblicato su Jama. «La modifica dello stile di vita e il trattamento ipoglicemizzante sono il cardine della terapia per prevenire e ritardare le complicanze legate al diabete» scrivono gli autori dell'articolo, ricordando che attualmente un gran numero di classi di ipoglicemizzanti è stato approvato per il trattamento del diabete di tipo 2. Ma soprattutto a causa della casistica insufficiente non è stato finora possibile stabilire il ruolo dei diversi farmaci nella prevenzione della morte cardiovascolare.
Tant'è che
Giovanni Strippoli dell'Università degli Studi di Bari e colleghi hanno condotto una revisione sistematica con metanalisi per valutare efficacia e sicurezza dei farmaci antidiabetici, insulina compresa. Allo scopo i ricercatori hanno identificato oltre 300 studi clinici, di cui 177 (56.598 pazienti) riguardavano farmaci somministrati in monoterapia; 109 (53.030 pazienti) erano su farmaci associati alla metformina (duplice terapia) e 29 (10.598 pazienti) su composti associati a metformina e sulfoniluree (triplice terapia). Ma a conti fatti gli autori non hanno scoperto alcuna associazione significativa tra qualsiasi classe di farmaci in mono, duplice o triplice terapia e tassi di mortalità cardiovascolare o per tutte le cause.
«La metformina si associa a scarse o nulle differenze nei livelli di HbA rispetto ad altre classi di farmaci, e tutti sono efficaci quando aggiunti alla metformina. Risultati che confermano le raccomandazioni dell'American Diabetes Association per l'utilizzo in monoterapia della metformina come trattamento iniziale per i pazienti con diabete di tipo 2 e la successiva selezione di terapie complementari in base all'andamento della malattia nel singolo paziente» concludono i ricercatori.
Jama. 2016. doi: 10.1001/jama.2016.9400