Sanità

feb22023

Fuga dal lavoro, cresce il peso della retribuzione. Tra benessere e flessibilità, ecco i nuovi dati

Fuga dal lavoro, cresce il peso della retribuzione. Tra benessere e flessibilità, ecco i nuovi dati

Non si arresta il fenomeno delle dimissioni: gli ultimi dati hanno messo in luce una risalita, tra le motivazioni, del peso della retribuzione, fondamentale il bilanciamento tra vita-lavoro


Il fenomeno delle dimissioni in Italia, a livello complessivo, non sembra arrestarsi e interessa, via via di più, figure laureate e qualificate. Diverse sono le indagini che cercano di individuare le ragioni, e, di recente, gli ultimi dati hanno messo in luce una risalita, tra le motivazioni, del peso della retribuzione, in connessione con uno scenario che, tra aumento dei costi dell'energia e inflazione, si fa sempre più difficile. Resta comunque di fondamentale importanza il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa.

Dimissioni: dati ministero lavoro segnano aumento

Il fenomeno delle dimissioni in Italia, in generale, resta elevato: dai dati dell'ultima nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro emergono oltre 1,6 milioni di rapporti di lavoro interrotti da parte del lavoratore nei primi 9 mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 che ha contato oltre 1,3 milioni di persone. Tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro, le dimissioni costituiscono, dopo i contratti a termine, la quota più alta. Continua quindi il trend, seppure con una variazione inferiore rispetto ai trimestri precedenti.
Le dimissioni risultano, poi, in crescita tra le donne: se si analizzano ancora le comunicazioni obbligatorie, nel terzo trimestre 2022 si sono dimessi 562.258 lavoratori di cui 317.734 erano uomini e 244.524 donne, con le donne che segnano rispetto allo stesso trimestre del 2021 un +22.717 donne (+12.257 tra gli uomini). I settori colpiti sono diversi, anche se da una Indagine della Fondazione consulenti lavoro del 2022, che ha preso in considerazione il periodo 2019 2021, e che era stata rilanciata dal Corriere della sera, era emerso un progressivo
incremento del fenomeno tra le figure laureate e qualificate. Ma a interessare il dibattito è anche l'individuazione delle ragioni: secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, più della metà dei lavoratori vuole cambiare lavoro perché insoddisfatto, con un 15% costantemente alla ricerca di nuova occupazione. Tra i motivi principalmente additati c'è la retribuzione, considerata bassa, e la crescita professionale non adeguata, nonché la ricerca di un miglioramento in termini di benessere personale.

Indagine Ranstad: a causa della crisi cresce il peso della retribuzione

Proprio in merito alle aspettative dei lavoratori e alle trasformazioni del mercato, è di qualche giorno fa il lancio della indagine Randstad Workmonitor 2023, condotta online tra il 18 e il 30 ottobre 2022 su 35mila lavoratori di 34 nazioni, che traccia un quadro complessivo e ha un focus anche sull'Italia, con circa mille intervistati tra i 18 e i 67 anni. Dai dati, a emergere, nell'ultimo periodo, è il crescente peso del tema della retribuzione. Il contesto è quello che vede, a fine anno, la crescita dell'indice dei prezzi al consumo all'11,3%. In generale, si legge nella nota, "il 37%" del campione italiano "afferma che lo stipendio non garantisce di vivere come vorrebbe (il 5% in più rispetto ad un anno fa). Il 44% vorrebbe un aumento di stipendio periodico e il 37% un aumento anche al di fuori della consueta periodicità. Al datore di lavoro chiedono soprattutto un aumento mensile in base al costo della vita (47%), contributi per il costo dell'energia, dei viaggi o di altre spese quotidiane (37%) o indennità una tantum (25%)". Nel complesso, "il 43% delle aziende italiane ha fornito un sostegno economico straordinario ai propri dipendenti. E circa un terzo dei dipendenti ha ricevuto un aumento negli ultimi 12 mesi".

Orari, vita privata, organizzazione restano importanti per i lavoratori

Un aspetto preso in considerazione è la flessibilità: in particolare viene segnalata come "rilevante nel lavoro attuale o futuro per l'83% degli italiani" quella legata agli orari, mentre "quella legata al luogo per il 72%". Rispetto al tema del benessere lavorativo, poi, "il 33% dei lavoratori italiani afferma di aver lasciato il precedente lavoro perché "non si adattava alla sua vita personale", il 58% italiani non accetterebbe un lavoro che influisse negativamente sull'equilibrio vita-lavoro (soprattutto i giovani). Ma rispetto a un anno fa si osserva una maggiore cautela. Nella fascia 18-24 anni ad avere lasciato il lavoro per insufficiente flessibilità è il 13% in meno dello scorso anno (36% vs 49% di un anno fa), perché non si adattava alla vita personale è il 12% in meno (39% vs 51%), per mancanza di opportunità di carriera è il 12% in meno (36% vs 48%). La condivisione di valori si conferma importante e in alcuni casi discriminante nella scelta di un posto di lavoro. Il 48% non accetterebbe un lavoro se non sentisse un senso di appartenenza e il 41% se l'organizzazione non si stesse impegnando in maniera proattiva per migliorare la diversità e l'equità".
Complessivamente, conclude Marco Ceresa, Group CEO Randstad Italia, "il difficile scenario internazionale e le prospettive incerte dal punto di vista economico influenzano anche la percezione delle persone sul lavoro, introducendo nuove preoccupazioni su stabilità, prospettive e una maggiore attenzione alle condizioni materiali, come la sicurezza stessa del posto. Ma gli italiani non sono disposti a rinunciare agli elementi di flessibilità, qualità del lavoro e work-life balance emersi con grande forza nel periodo pandemico. Infatti, anche in tempi apparentemente più difficili, secondo il Workmonitor il fattore più importante per gli italiani nel lavoro è l'equilibrio con la vita privata, indicato dal 96%, seguito dalla retribuzione al 95%, dalla sicurezza del lavoro al 91% e dalla flessibilità di orario all'83%".

Francesca Giani
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