apr202015
Indagine Censis: aspettative crescenti su farmaci, ma innovazione insostenibile
Gli italiani hanno aspettative elevate nei confronti dei farmaci, che devono guarire dalle malattie (lo pensa il 36,7%), contribuire a migliorare la qualità della vita (20,9%), aiutare a convivere in modo accettabile con le patologie (19,5%), ma la disponibilità di farmaci garantiti dal Servizio sanitario nazionale è giudicata insufficiente dal 35,2% dei cittadini (e la percentuale sale al 53,8% tra le persone meno istruite), tanto che il 58% dichiara di aver subito un aumento della spesa di tasca propria per la sanità negli ultimi anni e oggi è pari al 27,6% la quota di italiani che ne hanno ridotto l'acquisto. È questo uno degli scenari che emerge dal Monitor Biomedico 2015, l'indagine condotta ogni anno dal Censis nell'ambito del Forum per la Ricerca Biomedica per fare il punto sulla sanità italiana e presentata a Roma. Tra gli aspetti messi in luce il fatto che, come si evidenziato in una nota, «negli ultimi trent'anni la speranza di vita è aumentata di 6,5 anni per le donne e di 8 anni per gli uomini, raggiungendo rispettivamente 85 e 80 anni in media. Nel tempo la sopravvivenza a molte patologie, sia acute che croniche, è migliorata significativamente. E la domanda di cure sempre più efficaci continua a crescere». Mentre al contempo la disponibilità di farmaci garantiti dal Servizio sanitario nazionale appare sempre più ridotta e, per di più, «il 78,8% ritiene che sono troppi i farmaci necessari per patologie gravi a carico dei pazienti. L'83% pensa che il ticket penalizzi le persone malate». Per quanto riguarda le malattie più temute dagli italiani in testa ci sono «i tumori (62,6%), seguite da quelle che provocano la non autosufficienza (30,7%), le patologie cardiovascolari (28,3%), quelle neurologiche e le demenze (26,3%)». E in effetti «la ricerca in campo oncologico è la più diffusa nel mondo: si prevede che al 2018 gli studi in fase di sperimentazione clinica saranno concentrati per il 38% sull'oncologia, mentre tutti gli altri settori si manterranno sotto la soglia del 10%». Proprio sull'innovazione vengono messe in luce una serie di problematiche: «Per rendere disponibile un nuovo farmaco sono necessari circa 15 anni di ricerca. Solo una nuova molecola ogni 10.000 sperimentate supera con successo i molti test necessari per essere approvata come medicinale. Ma poi, alla fine di questo percorso, in Italia sono troppo lunghi i tempi per accedere ai nuovi farmaci, dopo che sono stati approvati a livello comunitario: 427 giorni in media, contro i 364 della Francia, i 330 della Spagna, i 109 del Regno Unito». Ma è soprattutto la sostenibilità il tasto dolente: i costi per i farmaci innovativi sono troppo «elevati, soprattutto quando la platea dei pazienti destinatari è ampia. Gli investimenti diretti possono superare un miliardo di euro, arrivando a 2,6 miliardi se si aggiunge il costo del capitale investito nella ricerca. Ma solo 2 farmaci innovativi su 10 consentono di ammortizzare i costi di ricerca e sviluppo. Il recente caso del farmaco anti-epatite C (Sofosbuvir) è emblematico». Un auspicio è anche per un approccio olistico alla patologia: «occorre guardare all'insieme del percorso terapeutico ed ai suoi sviluppi futuri, in termini di salute come in termini di costi prevedibili», tenendo «conto del fatto che il farmaco costituisce solo una parte del costo di una patologia. Solo considerando i costi e le necessità terapeutiche dell'intero percorso assistenziale si può arrivare ad una migliore definizione della innovatività e delle necessità di ricerca e di immissione in mercato di farmaci che risultino realmente innovativi». In generale, per quanto riguarda la ricerca in Italia, «nel 2012 erano in corso 697 studi clinici per la sperimentazione di farmaci innovativi, finanziati per il 67,7% dalle imprese e per il 32,3% da enti non profit. Nel 2013 il numero degli studi clinici in corso era pari a 583, con una concentrazione prevalente nell'area delle neoplasie (35%). Sono poi allo studio 403 prodotti biotecnologici, di cui 169 in area oncologica». Ma «nei principali Paesi europei si investono più risorse (in Germania il 19,1% degli investimenti in ricerca e sviluppo europei, il 18,1% nel Regno Unito, il 15,3% Francia) e si impiega un numero di addetti superiore (il 21,2% nel Regno Unito, il 18,8% in Germania, il 18,7% in Francia)».
Francesca Giani