Diritto

giu32020

Laboratorio galenico, Tar: sì ad apertura in locali diversi da sede farmacia

Laboratorio galenico, Tar: sì ad apertura in locali diversi da sede farmacia

Possibilità di ampliamento del laboratorio galenico in uno stabile diverso dalla sede farmaceutica, per la farmacia impegnata nell'allestimento di preparazioni galeniche. Una interpretazione favorevole dal Tar Lombardia

Una farmacia impegnata oltre che nella dispensazione di specialità medicinali, anche nell'allestimento di preparazioni galeniche per privati e per istituti clinici e di cura sul territorio nazionale, nonché nell'allestimento di integratori alimentari e di prodotti cosmetici, si era dotata nel tempo di spazi, attrezzature e competenze professionali adeguate ai volumi produttivi. Il laboratorio galenico, con sedici collaboratori attivi, era stato collocato in due appartamenti al primo e al secondo piano del medesimo stabile della sede farmaceutica, collegati con un ascensore.
A seguito della crescente domanda di preparazione di sacche personalizzate per la nutrizione parenterale, la struttura giungeva a valutare la necessità di ampliare lo spazio del laboratorio divenuto ormai insufficiente a fronte dello sviluppo dell'attività e dei progetti futuri, per poter gestire efficientemente l'intero processo produttivo.

Istanza d'uso locali per l'ampliamento del laboratorio galenico

Per far fronte alle nuove esigenze, non potendosi utilizzare gli ulteriori locali posti ai piani superiori in quanto adibiti a civile abitazione, veniva proposta istanza di autorizzazione all'ampliamento del laboratorio galenico, ma presso un diverso stabile. L'Ente preposto, dopo aver richiesto un parere al Ministero della Salute, con determina dirigenziale definiva negativamente il procedimento, ritenendo non potere accogliere le argomentazioni addotte a sostegno dell'istanza.
Il Tar Lombardia (Milano), chiamato a decidere la questione a seguito del ricorso proposto dalla farmacia, in accoglimento dell'impugnazione ha sottolineato alcuni significativi profili. Il Collegio ha evidenziato che dalla disciplina richiamata nel provvedimento impugnato non fosse rinvenibile in linea di principio una chiara incompatibilità della separazione fisica di una parte del laboratorio galenico con la restante parte della farmacia, né fosse ricavabile - per converso - la necessità che, ai fini del corretto espletamento del servizio farmaceutico, dovesse sussistere un collegamento fisico, oltre che funzionale, tra tutti i locali della farmacia, compreso quelli che nulla hanno a che vedere con l'accesso degli utenti.
L'art. 109 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, richiede l'indicazione nel decreto di autorizzazione della località nella quale la farmacia deve avere la sua sede, con la specificazione che "L'autorizzazione è valevole solo per la detta sede", ma senza ulteriori indicazioni preclusive di una articolazione della stessa su più locali, non fisicamente collegati. Ferma, cioè, la necessità che la sede della farmacia debba risultare dall'autorizzazione, non appare con ciò precluso dalla norma che un locale afferente l'azienda farmaceutica possa essere ricompreso nell'autorizzazione, sia pure quale locale non accessibile al pubblico e perciò solo inidoneo ad incidere sulle regole di contingentamento delle sedi farmaceutiche, in quanto di per sé destinato soltanto ad ospitare una parte del laboratorio galenico.
Come ha osservato il Consiglio di Stato anche nel 2020, la ratio della normativa in materia di servizi farmaceutici deve tendere al contemperamento di due esigenze tra loro non sempre convergenti: " ... quella alla organizzazione e funzionamento del servizio farmaceutico secondo modalità tali da garantire la sua conformazione a standards qualitativi adeguati, tenuto conto delle implicazioni che esso presenta rispetto alla tutela della salute degli utenti, da un lato, e quella dei titolari degli esercizi farmaceutici a perseguire idonei livelli di redditività nell'attività farmaceutica, nell'esercizio del diritto di iniziativa economica di cui essa costituisce espressione, dall'altro".

Nessuna collisione con normativa

Nel caso specifico è apparso evidente come il provvedimento di diniego impugnato non esplicitasse, né lasciasse desumere in che modo l'ampliamento richiesto entrasse in collisione con la ratio della normativa in materia, ostacolando "l'obiettivo di assicurare alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità".
Neppure il riferimento all'art. 110 del R.D. 1265/1934 operato dall'amministrazione a sostegno del diniego è apparso convincente. La norma stabilisce che "l'obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento...". Si è osservato come non possa attribuirsi all'espressione "locali annessi", un riferimento univoco a locali fisicamente collegati. Tale aspetto può derivarsi sia facendo riferimento al significato che l'espressione assume nel linguaggio giuridico (ove resta da stabilire se implichi o meno un necessario legame fisico), sia ricorrendo ad alcune dinamiche civilistiche in materia di pertinenze che non richiedono il "legame fisico", sia accedendo ad alcune riflessioni in tema di trasferimento della titolarità della farmacia in rapporto all'ampio concetto di azienda, sia in tema di dispensario farmaceutico.
Infine, neppure è stato ritenuto rilevante - ai fini della incompatibilità dell'ampliamento - il riferimento all'art. 119 del R.D. 1265/1934 contenuto nel diniego. La norma, al primo comma, stabilisce che "Il titolare autorizzato di ciascuna farmacia è personalmente responsabile del regolare esercizio della farmacia stessa, e ha l'obbligo di mantenerlo ininterrottamente, secondo le norme che, per ciascuna provincia, sono stabilito dal prefetto con provvedimento definitivo, avuto riguardo alle esigenze dell'assistenza farmaceutica nelle varie località e tenuto conto del riposo settimanale".
Si è sottolineato che le modifiche intervenute anche sul profilo della responsabilità del farmacista, non depongono immancabilmente per l'incompatibilità dell'ampliamento domandato. Tale responsabilità, osserva il Tar, alla luce degli interventi di riforma del settore (cfr. l'art. 11, comma 1, della L. n. 362 del 1991), non impone più una "gestione diretta e personale dell'esercizio e dei beni patrimoniali" da parte del titolare della farmacia (secondo il tenore letterale del previgente art. 11 della L. n. 475 del 1968), essendo oggi declinata come "responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei beni patrimoniali della farmacia" (così, sempre l'art. 11 L. n. 475 del 1968, nella versione attualmente vigente), che ben può ipotizzarsi anche in relazione all'attività svolta in locali fisicamente separati da quelli in cui ha luogo l'accesso al pubblico. La separazione, non diversamente dalla dislocazione della farmacia su tre piani di un medesimo edificio (con specifica attinenza al caso specifico), può sì richiedere una determinata organizzazione interna dei rapporti fra il direttore tecnico e i suoi collaboratori, anche mediante l'uso delle deleghe, ma senza impedire con ciò la responsabilità personale del primo di fronte all'Amministrazione.

Avv. Rodolfo Pacifico - www.dirittosanitario.net
Per approfondire: Tar Lombardia, 22 aprile 2020, su www.dirittosanitario.net
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