set302016
Maggiorazione ruralità, l'esperto: vulnus da aggiornamenti scorretti di norme del 1968
Interpretazioni di norme e sentenze amministrative continuano ad alimentare il dibattito sulla legittimità della maggiorazione dei punteggi dei farmacisti rurali nel concorso straordinario. Secondo Maurizio Cini, Professore ordinario presso Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna bisogna fare «un passo indietro circa mezzo secolo» alle leggi 221/68 e 475/68.
Per inquadrare la problematica, sorta dopo la nota sentenza del Consiglio di Stato in materia di punteggio spettante ai farmacisti che hanno esercitato per almeno cinque anni in una farmacia rurale, occorre fare un passo indietro di circa mezzo secolo. Siamo infatti agli anni immediatamente precedenti il 1968 quando si era instaurato un braccio di ferro tra governo e titolari di farmacia, rappresentati in maniera non organizzata sindacalmente (Federfarma sorse l'anno successivo). Si ricordi che in quei tempi avvennero alcune importanti nazionalizzazioni come quella dell'energia elettrica nel 1962 ed in ambienti politici la nazionalizzazione delle farmacie era stata ventilata. Ebbene nel 1968 due furono le leggi emanate che riguardavano il servizio farmaceutico: la 221 e la 475, rispettivamente riportanti la data dell'8 marzo e del 2 aprile.
La prima, 8 marzo 1968, n. 221, ebbe un iter parlamentare parallelo a quella della 475 ma, per ragioni diverse le due leggi non furono fuse, come sarebbe stato logico, in un unico testo. Sta di fatto che la 221/68 precedette, col titolo di "Provvidenze a favore dei farmacisti rurali" di soli 25 giorni la legge 475 dal titolo "Norme concernenti il servizio farmaceutico" che è tutt'ora un caposaldo della legislazione farmaceutica, nonostante le numerose modifiche intervenute. Questa premessa non può trascurare che con la legge 475/68 venne anche completamente riformato in sistema di assegnazione delle sedi farmaceutiche ai privati passando da una valutazione per soli titoli a quella per titoli ed esame. L'esame comprendeva una prova pratica di tecnologia farmaceutica consistente nell'allestimento di una ricetta magistrale, spesso contenente difficoltà costituite dalla presenza di sostanze incompatibili che obbligavano il candidato a ricorre a svariati accorgimenti per superare il problema. Alla prova pratica, se superata, seguiva una prova orale consistente nella discussione di tre argomenti tratti da tre liste di quesiti sulla tecnica farmaceutica (15), la farmacologia (11) e la legislazione farmaceutica (11). Ciascuno dei cinque commissari disponeva (art. 7 legge 475/68 nel testo originario) fino ad un massimo di punti 3,50 per titoli di studio e carriera e fino ad un massimo di punti 6,50 per titoli relativi all'esercizio professionale.
In buona sostanza venivano anche allora valutati sia i titoli di studio che quelli comprovanti lo svolgimento della professione ma con punteggi diversi da quelli ora vigenti. Un tema, tuttora sentito dalla comunità professionale, riguardava la volontà di riconoscere ai farmacisti esercitanti in farmacie rurali, ora dette anche "disagiate", qualche vantaggio in un'ottica di progressiva affermazione professionale a fronte dei sacrifici sostenuti per l'esercizio professionale in zone impervie che, allora, erano considerate tutte le località (comuni o anche solo frazioni) con popolazione non superiore a 5.000 abitanti. Considerazione che oggigiorno andrebbe drasticamente rimodulata.
Ebbene al riconoscimento aveva provveduto la legge 221 che, come si è visto, precedette di meno di un mese la 475/68. Lo aveva fatto introducendo l'art. 9 che, mai modificato da allora, recita in un unico comma: "Ai farmacisti che abbiano esercitato in farmacie rurali per almeno 5 anni come titolari o come direttori o come collaboratori verrà riconosciuta una maggiorazione del 40 per cento sul punteggio in base ai titoli relativi all'esercizio professionale, fino ad un massimo di punti 6,50". Nella legge 475/68 però non si fa alcun riferimento alla maggiorazione prevista dall'art. 9 della 221/68.
Ciò non può certo significare che la maggiorazione non sia applicabile ma in che misura? C'è da chiedersi perché il legislatore della 221/68 abbia previsto il massimo della maggiorazione in punti 6,50. Se, come oggi molti sostengono, la maggiorazione va aggiunta al punteggio totale per l'esercizio professionale, perché proprio 6,50 e non un numero intero? Allora infatti il punteggio massimo per i titoli professionali, attribuibile in base alla somma di quelli decisi dai commissari, ammontava a punti 32,50 (6,50 x 5).
Viene allora spontaneo porsi il seguente quesito: il legislatore della 221/68 che aveva lavorato a stretto contatto con quello della 475/68, non avrà voluto riconoscere al farmacista rurale, probabilmente all'inizio della carriera, la possibilità di raggiungere il punteggio massimo conseguibile da un titolare, direttore o collaboratore, di farmacia urbana? Proprio per favorire la salita di quella scala sociale alla base della logica della maggiorazione? Infatti, così ragionando, il giovane farmacista avrebbe potuto godere della maggiorazione del 40% ma, comunque, entro il limite dei 32,50 punti massimi, insuperabile per tutti i concorrenti. Purtroppo, per una delle tante "sciatterie legislative", nel 1991 il legislatore delle "Norme di riordino del settore farmaceutico" (legge 8 novembre 1991, n. 362) non toccò l'argomento ed altrettanto fece il Presidente del Consiglio dei Ministri nell'approvare il nuovo regolamento concorsuale (DPCM 298/94) col quale fu variato il rapporto tra titoli di studio e carriera e professionali che passarono da 3,50 e 6,50 a 3,00 e 7,00 creando quel "vulnus" interpretativo che ora agita le acque dei concorsi, compreso quello straordinario. Sembra ragionevole sostenere che la maggiorazione, rimasta fissa nel massimo a 6,50, riguardasse il singolo commissario il quale, avendo attribuito al candidato un determinato punteggio, una volta applicata la maggiorazione del 40%, questo avesse superato i 6,50 punti. Il punteggio avrebbe comunque dovuto essere ridotto fino al tetto insuperabile dei 6,50 punti, ovvero dei 32,50 punti totali della commissione, tenuto anche conto che, generalmente, il punteggio dei singoli commissari viene concordemente fissato nel medesimo valore. Che fare ora che il punteggio per i titoli professionali raggiunge il tetto massimo dei 7,00 punti ovvero dei 35,00 per l'intera commissione? Dato che i commenti che circolano in questi giorni, a proposito del parere che il Ministero della salute ha chiesto all'Avvocatura dello Stato, portano all'unica soluzione possibile e cioè ad una legge di interpretazione autentica, parrebbe ragionevole suggerire l'adeguamento del punteggio massimo della maggiorazione a 7,00 e che tale calcolo vada riferito ad ogni commissario sempre all'interno del tetto massimo di 35,00 punti. Si dirà che una legge di interpretazione autentica agisce, contrariamente a tutte le altre, in senso retroattivo e quindi ci si dovrà chiedere cosa sarà dei concorsi con graduatoria approvata e sedi assegnate e aperte. Certo questo dubbio rimane ma rimarrebbe anche qualora un intervento legislativo diverso dovesse intervenire. Comunque la si metta il problema si è trascinato per anni e, nemmeno in occasione del concorso straordinario, qualcuno ha tentato di intervenire in quello che si può tranquillamente definire come uno dei tanti "pasticciacci brutti" della legislazione farmaceutica.
Maurizio Cini
Professore ordinario presso Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie
Università di Bologna