mar222013
Mur, Giacomelli: ecco come il farmacista può educare sui farmaci
«Abbiamo patrocinato lo studio nella certezza che avremmo potuto dimostrare concretamente che la farmacia italiana non solo deve svolgere un ruolo importante nell’assistenza territoriale, ma ha le capacità tecniche per farlo». Commentava così Andrea Mandelli lo scorso febbraio i risultati della sperimentazione italiana dell’Mur (Medicine use review, revisione dell’uso dei medicinali), progetto britannico volto a favorire la compliance dei pazienti grazie a un’interazione sul territorio tra farmacisti generalisti e Asl. Ne abbiamo parlato con Andrea Giacomelli, presidente dell’Ordine dei farmacisti di Pistoia, tra i protagonisti della sperimentazione.
Dottor Giacomelli, quali sono i presupposti del progetto e chi lo ha sostenuto?
Il presupposto è semplice: ormai da decenni in Australia come in Canada, e più recentemente in Gran Bretagna, le farmacie offrono servizi avanzati, complementari alla dispensazione dei medicinali. In Italia queste prestazioni non erano mai state rese, nemmeno a livello sperimentale, di qui la necessità di verificarne scientificamente la fattibilità anche nell’ambito della farmacia italiana. L’iniziativa ha avuto origine a Treviso e poi, con l’arrivo della Fofi a patrocinare il progetto, si è potuto allargare a quattro provincie. In pratica, uno studio multicentrico.
In quali province è stato avviato?
Oltre a Treviso: Pistoia, Torino e Brescia. In ciascuna provincia Ordine e Associazione dei titolari hanno collaborato con i ricercatori della Medway school of pharmacy (Università del Kent) per reclutare le farmacie e i farmacisti che avrebbero partecipato allo studio: 20 per provincia per un totale di 80 colleghi impegnati.
Quali professionisti della salute sono stati coinvolti?
In tutte le province si è cercato di coinvolgere, ovviamente, i medici di medicina generale, che sono gli operatori immediatamente presenti sul territorio come i farmacisti di comunità e, ovviamente, è stato chiesto e ottenuto l’appoggio delle Asl competenti. Nel caso di Pistoia siamo stati facilitati dagli ottimi rapporti che la nostra professione ha con Ordine dei Medici, Fimmg e Simg. Del resto abbiamo una tradizione di collaborazione pluriennale con i medici e con l’Asl, per esempio nell’educazione sanitaria, come prova il progetto televisivo Tvl Informa di cui è partita da poco l’edizione 2013.
La fase pilota si è focalizzata sull’asma. Che tipo di servizi sono stati messi in campo?
Il progetto verte su un servizio, la revisione dell’uso dei medicinali (Medicine Use Review o Mur) che è stato introdotto nel 2005 dalle farmacie britanniche per migliorare la compliance. Consiste in un’intervista al paziente strutturata, che sonda sia le sue conoscenze della malattia e dei farmaci prescritti sia le sue attitudini verso la terapia: rispetto dei dosaggi, degli orari, uso corretto del medicinale che magari, come nel caso dell’asma, richiede l’impiego di un device come l’inalatore. Ovviamente si interroga il paziente anche sulla presenza di effetti collaterali, sul grado di benessere attuale eccetera. Fatto questo il farmacista può intervenire direttamente, per esempio spiegando come usare il farmaco o richiamando il rispetto dei dosaggi, oppure riferire al medico curante.
Quali i risultati raggiunti?
Il nostro studio pilota voleva valutare la fattibilità, non il risultato clinico, per il quale occorre uno studio controllato e randomizzato. Tuttavia una risposta indiretta c’è: nel corso dello studio sono stati eseguiti poco meno di 1.000 Mur e i farmacisti hanno potuto constatare che quasi la metà dei pazienti aveva dimenticato una o più volte di assumere il farmaco, oppure che soltanto 285 pazienti non lamentavano alcun problema, mentre 152 assumevano dosi diverse da quelle prescritte, tanto per citare uno dei casi più frequenti. C’è spazio per intervenire in modo efficace.
Con quali patologie è possibile avviare questo tipo di servizio?
In pratica tutte quelle che hanno un trattamento farmacologico cronico, anche se è evidente che in alcune, come l’asma, i risultati sono immediatamente percepibili (il paziente vede diminuire le crisi e il ricorso alla medicazione al bisogno) mentre in altre, per esempio l’area cardiovascolare, i risultati, in termini di eventi evitati, si colgono a lungo termine.
È già possibile fare ipotesi di risparmio?
Non dopo il nostro studio ma, internazionalmente, è stato dimostrato che per ciascun dollaro speso in prevenzione e assistenza alla terapia nelle farmacie di comunità, si ha un ritorno di 10 dollari in termini di costi sanitari evitati. Non a caso qualche giorno fa il Ministero della salute britannico ha deciso di assegnare altri 20 milioni di sterline per prolungare la sperimentazione di un altro servizio introdotto l’anno scorso.
È in studio/previsione un modello di remunerazione per questo servizio?
È chiaro che questo studio, e i suoi sviluppi ora in preparazione, mirano a dimostrare due cose: che il farmacista italiano è in grado di operare come i colleghi inglesi e canadesi e che vale la pena di remunerare la farmacia per l’erogazione di questi servizi avanzati. È questa mio avviso la via per migliorare l’assistenza al paziente cronico sul territorio, ottenere risparmi necessari per la sostenibilità del Servizio sanitario, ridare stabilità economica alla farmacia italiana e costruire una prospettiva professionale indispensabile per il nostro futuro.
Simona Zazzetta