NUTRIZIONE

feb72012

Nutrizionisti italiani riabilitano lo zucchero

Secondo gli esperti è irresponsabile affermare che lo zucchero sia nocivo e demonizzarne il consumo che in Italia non è così elevato

È irresponsabile affermare che lo zucchero sia nocivo e demonizzarne il consumo. È questa la risposta di Federalimentare, la Federazione italiana delle industrie alimentari, allo studio pubblicato sull'ultimo numero di Nature (cfr Farmacista33, 2 febbraio 2012). L'articolo, ha commentato Andrea Poli, direttore scientifico di Nfi - Nutrition foundation of italy, «non presenta alcuna ricerca o studio originale, ma ripropone semplicemente il punto di vista dell'autore sulla tossicità del fruttosio, che assieme al glucosio è uno dei due costituenti dello zucchero da cucina (saccarosio). Si tratta di una visione non condivisa da larga parte della comunità scientifica e delle organizzazioni nazionali ed internazionali, che dappertutto promuovono il consumo di frutta, la principale fonte naturale di fruttosio. In Italia, l'Inran suggerisce per esempio il consumo di circa 450 g di frutta al giorno, che contengono in media da 18 a 36 grammi di fruttosio». Ed entrando nel merito dei capi di imputazione:«L'effetto del fruttosio sulla pressione arteriosa, citato dall'autore dell'articolo» ha sottolineato Giuseppe Fatati, presidente di Fondazione Adi (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica) «è controverso, ed è sostanzialmente supportato da studi che prevedono la sommistrazione o il consumo di quantitativi irrazionalmente elevati di fruttosio. A Dicembre 2011 su Public health nutrition, è stato pubblicato l'articolo "Mediterranean diet pyramid today. Science and cultural updates" che conferma il ruolo positivo per la salute di un adeguato consumo di frutta e del modello mediterraneo». Infine, riportando alla realtà italiana, Michele Carruba, direttore del Centro di studio e ricerca sull'obesità all'Università degli Studi di Milano, ha sottolineato che in Italia il consumo di zuccheri «non è elevato» e l’obesità «ha radici che affondano forse più nell'inattività che nell'eccessivo apporto di calorie».


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