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Nutrizione

24 Maggio 2018

Pasta, non solo carboidrati: proteine nel profilo nutrizionale


Nonostante il cambiamento dei gusti e le nuove materie prime che concorrono a variare la dieta degli italiani, la pasta mantiene il suo ruolo preminente a tavola. È il piatto che tutti o quasi mangiano (con percentuali che sfiorano il 99%), in media 5 volte la settimana. A dirlo è una ricerca Doxa-AIDEPI, l'Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane. Il 46% degli intervistati dice di consumarla addirittura regolarmente e la considera come l'alimento preferito, per ragioni di gusto o di salute. È particolarmente diffusa nel Centro Italia, dove il 45% degli abitanti (italiani) - soprattutto uomini - mangiano la pasta tutti i giorni, scalzando così il primato sempre stato del Sud e delle Isole.

Parlare di qualità di un alimento significa descrivere e caratterizzare tutti gli aspetti che lo riguardano. Non solo il sapore o l'aroma, ma anche le sue caratteristiche nutrizionali e i contenuti di sostanze estranee che possono ritrovarsi nel prodotto finale. È l'argomento su cui si è spostata l'attenzione di recente, da quando cioè le questioni di etichettatura di origine del grano hanno aperto un dibattito molto acceso sulla qualità delle farine e sull'importanza di alcuni loro parametri di composizione.

Per fare una buona pasta - e per noi italiani buona significa innanzitutto che tenga la cottura e non sia collosa - serve un grano con un alto contenuto proteico e un glutine, la proteina di struttura, di buona qualità. Sono tutte caratteristiche che non sempre i grani nazionali riescono a rispettare con costanza per motivi per lo più agronomici. Come è stato risolto il problema? Lavorando sulla materia prima e sulla tecnologia insieme. Da sempre, sostengono i grandi produttori, il grano italiano è stato tagliato con prodotto di provenienza estera le cui caratteristiche hanno assicurato la produzione di una pasta diqualità standard e garantita. Da circa vent'anni inoltre sono state sviluppate tecnologie di produzione ad alta temperatura che a loro volta hanno permesso di utilizzare farine con contenuti proteici non elevati, consentendo di ottenere un prodotto con le caratteristiche di consistenza volute. Con queste tecnologie il processo di essiccamento avviene fra i 75 e 90-95°C, per 3-8 ore, innescando una serie di trasformazioni alla struttura della pasta che bilanciano le eventuali carenze proteiche della materia prima.

Tuttavia, spingendo al limite il processo, le alte temperature possono anche a coprire una qualità di grano eventualmente scadente (dal punto di vista della qualità proteica) e cioè compromettere alcune proprietà organolettiche, aumentare l'imbrunimento, ma soprattutto produrre un impoverimento del profilo aminoacidico per la formazione di furosina, composto derivato dall'idrolisi acida di molecole che si formano nei processi di imbrunimento (reazione di Maillard) e che coinvolge l'aminoacido lisina. In questo modo ne escono impoveriti il pool aminoacidico e il profilo nutrizionale della pasta.

Il controllo del processo e la scelta di grano con requisiti proteici minimi ottimali, però limita il fenomeno. Come può regolarsi il consumatore nella scelta di un prodotto nutrizionalmente di valore? La rilevazione della quantità di furosina la si ottiene per via sperimentale (e non è un dato che compare in etichetta), ma una pasta che ha subito un processo spinto al limite solitamente è riconoscibile perché ha un colore particolarmente brunito e una consistenza più dura al centro (al cuore del prodotto) diversa dalla classica definizione di "pasta al dente", che invece usiamo e ben conosciamo per definire la bontà e la qualità del piatto di punta della nostra tradizione.

Di Francesca De Vecchi
Tecnologa alimentare

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