Sanità
27 Marzo 2024 Al Milan Longevity Summit un incontro sulla “longevity revolution”. I progressi degli studi sulla lunga vita e la necessita di politiche di salute pubblica che puntino su educazione sanitaria e prevenzione
La ricerca sulla longevità va avanti da decenni e a un certo punto ha creduto di trovare uno sbocco convincente nella teoria della “restrizione calorica” come condotta alimentare in grado di ridurre sensibilmente i rischi di malattie croniche, tumori ed eventi cardiovascolari. Clamoroso, ai primi anni Novanta, l’esperimento “Biosfera 2”, in Arizona: otto persone, guidate dal professor Roy Walford, si chiusero per due anni in un ecosistema creato ad hoc per provare “sulla propria pelle” gli effetti di una dieta quasi esclusivamente vegetariana. Valter Longo - direttore del Longevity Institute della University of Southern California, che di Walford è stato allievo - rievoca l’episodio in apertura della sessione del Milan Longevity Summit dedicata alla “Longevity revolution: Italy at the heart of change”. «In realtà», spiega, «si è verificato che la restrizione calorica, soprattutto nella versione estrema di Walford, intacca la massa muscolare. Non così, in base ai nostri studi, con la “dieta mima digiuno” (fasting mimicking diet), da seguire periodicamente per cinque giorni, che mostra effetti positivi su glicemia e colesterolo, per esempio, senza causare riduzione della massa muscolare». Questo l’approdo più recente delle ricerche che Longo svolge in California: giungere a una “riprogrammazione metabolica” che possa conciliare l’allungamento della vita e il mantenimento di un buono stato di salute.
Una rivoluzione culturale
Gli interventi di Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri, e Roberto Bernabei, gerontologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente di Italia Longeva, concordano nell’invocare una “rivoluzione culturale”: la longevità è il frutto di scelte individuali, ispirate a corretti stili di vita, ma anche di politiche di salute pubblica adeguate. Ovvero sempre più focalizzate sulla prevenzione e sulla educazione sanitaria, fin dalla scuola primaria.
«Sarebbe necessaria, in questo senso», sottolinea Garattini, «una scuola di formazione superiore in grado di selezionare dirigenti della sanità pubblica con specifiche competenze, mentre oggi la scelta di queste persone avviene secondo altri criteri. Fermo restando che, osservando stili di vita corretti, si potrebbe evitare l’insorgenza del 40% dei tumori, come di altre malattie diffuse tra la popolazione. E in questo contesto è fondamentale il ruolo dei medici di medicina generale ».
Bernabei aggiunge che, considerando che già ora abbiamo in Italia un milione di over 90 e 14 milioni di anziani, non c’è tempo da perdere nel mettere mano a politiche lungimiranti, in ambito socio-sanitario e previdenziale. A garanzia della sostenibilità del sistema.
Da parte sua Chiara Herzog, ricercatrice presso l’Università di Innsbruck, si sofferma sullo stato della ricerca in tema di biomarcatori tumorali, anche nella prospettiva di una vecchiaia non gravata da malattie: i progressi sono notevoli «ma manca una road map che regolamenti l’utilizzo di questi biomarker».
Infine l’invocazione, anche qui rivolta alle istituzioni, di Pierluigi Paracchi, ceo di Genenta: «Facciamo di tutto per tenere i ricercatori in Italia e favorire gli investimenti da parte delle aziende. Forse ci siamo dimenticati che la prima terapia genica ha visto la luce nel nostro Paese, a Milano, grazie alla sinergia tra San Raffaele e un grande gruppo farmaceutico».
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