ott182016
Referendum, Spandonaro (Tor Vergata): con sì meno contenziosi Stato-Regioni ma pochi riflessi sui Lea
Se vincono i sì al referendum e si fa la riforma del titolo V in sanità, con lo Stato che marca le sue prerogative, è probabile vi siano meno battaglie "formali" Stato-Regioni, ma è improbabile che lo Stato chiuda ospedali fatiscenti o che in una Regione dove non è stato ancora introdotto un medicinale nuovo ne disponga la consegna a casa dei pazienti. L'opinione di
Federico Spandonaro, professore aggregato di Economia Sanitaria all'Università di Roma Tor Vergata e presidente di Crea Sanità, apre una serie di interviste a esperti di DoctorNews sul tema referendum. Spandonaro è realista rispetto al "day after": in particolare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza dipende dal finanziamento e non dal lifting istituzionale. Il nuovo articolo 117 punto m) della Carta elimina la "legislazione concorrente" tra Stato e Regioni. Spettano in futuro allo Stato non solo la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", ma anche le "disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare". Alle Regioni resta "la potestà legislativa in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali". La Riforma prevede anche la "clausola di supremazia", per la quale "su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale". «Se la riforma passa - dice Spandonaro- immagino possa esservi una diminuzione del contenzioso giuridico Stato-Regioni. L'attuale legislazione concorrente è un dispositivo potenzialmente "pericoloso" che crea conflitti tra livelli istituzionali. Però ho dubbi si sanino i contenziosi sostanziali. Lo Stato può fissare le regole generali, ma le Regioni devono dare seguito alle indicazioni, e qui c'è di mezzo il tema delle risorse: se sono sufficienti la conflittualità Stato-Regioni si riduce, se sono scarse non si risolve nulla. Un anticipo di quanto affermo s'è verificato in questi giorni. Non appena si è paventato il taglio del Fondo sanitario nazionale le Regioni hanno detto che non avrebbero applicato i nuovi Lea. Questo è un contenzioso sostanziale su cui la riforma referendaria non incide affatto».
Avremo uno stato più interventista che chiude ospedali?
«Se l'interventismo tocca temi come la sicurezza alimentare se ne può discutere; in tema di assistenza sanitaria sono perplesso, già oggi lo Stato ha competenza esclusiva sulla determinazione dei livelli essenziali di assistenza, ma le disparità nelle regioni sussistono ed evidentemente, quindi, le ragioni sono da ricercarsi altrove; quando il premier afferma che se vince il sì non ci sarà più ritardo nell'approvazione dei farmaci oncologici nei territori regionali, io replico che non è così, dato che quei farmaci erano nei Lea anche prima del referendum e dovevano essere disponibili ovunque allo stesso modo; i ritardi sono "involontariamente" frutto di inefficienza burocratica o "volontariamente" frutto del posticiparne i costi: materie su cui non si modifica sostanzialmente lo status quo. Allo stesso modo è discutibile affermare (da parte di alcuni assessori, ndr) che, se vincono i sì, lo stato chiuderà gli ospedali d'imperio, perché la determinazione della rete ospedaliera è chiaramente una funzione organizzativa riservata dalla Carta alle Regioni; a meno che per ragioni legate a particolari dissesti, lo Stato decida di intervenire "commissariando" le Regioni, ma questo è nuovamente "non nuovo"».
I poteri fissati dalla Costituzione dunque non preludono necessariamente a un maggior attivismo dello Stato Centrale nel ridurre le disparità? «È una domanda sostanziale: se mai la modifica costituzionale fosse destinata a correggere le iniquità generate dal federalismo, mancherebbe di presupposti. Prima del federalismo le cose in termini di disparità non andavano certo meglio di ora. Le Regioni del Nord si sono sempre autogovernate bene e persino nel Sud le cose vanno meglio da quando sono intervenuti i piani di rientro. Ovviamente è possibile ci sia in futuro più attenzione alla riduzione delle disparità geografiche, ma non dimentichiamo che tali differenze attengono a problemi di "distribuzione del capitale sociale" che ci portiamo appresso da oltre un secolo: nei primi 20 anni di Ssn il governo centrale ha fallito su questo obiettivo... speriamo questa volta possa fare meglio! In ogni caso, quale che sia l'esito credo che non cambierà molto sul piano pratico: chi dice il contrario per un verso e per l'altro - conclude Spandonaro - fa "campagna elettorale"».
Mauro Miserendino