set92014
Rischi da antidepressivi in gravidanza, l'esperto: nessuna evidenza conclusiva
Prendere antidepressivi in gravidanza può provocare difetti alla nascita, complicazioni dopo il parto, ritardi nello sviluppo e iperattività: un nuovo studio della Johns Hopkins University torna ad alimentare un dibattito che vede i medici divisi. Maurizio Bonati responsabile del Dipartimento della Salute pubblica dell'Istituto Mario Negri di Milano ritiene necessario un principio di cautela e un'analisi specifica di ogni singolo caso: «sulla depressione in gravidanza e dopo il parto abbiamo lavorato molto e continuiamo a farlo, ma ad oggi evidenze conclusive non ce ne sono». Una considerazione fondamentale riguarda il tipo di antidepressivo utilizzato. Lo studio americano prende in esame gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri), ma questa classe di farmaci comprende diversi principi attivi: «la paroxetina - ricorda Bonati - è una delle sostanze accusate di indurre difetti cardiaci nel feto, ma basta usare un Ssri di più vecchio utilizzo, come la fluoxetina, per abbattere ulteriormente i rischi. Certo, il mercato spinge verso l'utilizzo dei farmaci più recenti, ma questi difetti, che comunque anche nei nuovi farmaci sono molto rari, con i vecchi non si verificavano neppure».
L'altro rischio ventilato dalla ricerca della Johns Hopkins riguarda i disturbi comportamentali indotti dall'esposizione pre e postnatale agli antidepressivi ma, rassicura Bonati, «i nostri studi sulla realtà italiana non ci portano ad affermare che c'è un maggior rischio. Detto questo, ovviamente, trattandosi di psicofarmaci su organismi in sviluppo come il feto (ma anche il neonato e il bambino), bisogna essere cauti e l'indicazione è di usare sempre la minor dose efficace possibile e farmaci in cui siano più solide le evidenze di un basso rischio di effetti collaterali». Poi, molto dipende dal grado di depressione: «a volte, per la salute complessiva di madre e bambino, è più rischioso non utilizzare il farmaco, tanto più se siamo in un ambito di disturbo psichiatrico».
Renato Torlaschi