set272012
Se l’estratto è di un’altra pianta il supplemento non funziona
Uno studio di bioinformatici scopre supplementi adulterati, e non si tratta di microscopiche tracce. Un integratore su 4 non conteneva il fitoterapico atteso, bensì una pianta dello stesso genere ma di un’altra specie. Forse per questo certi studi falliscono le prove di efficacia
Le radici di Actaea racemosa (black cohosh in America) contengono beta-sitosterolo e sono state utilizzate in medicina dai nativi americani per i disturbi della menopausa. In tempi più recenti alla radice si è preferito l’estratto in compresse o capsule, tuttavia studi controllati hanno dato esiti contrastanti sulla sua reale efficacia su vampate, disturbi del sonno e alterazioni dell’umore; senza contare le segnalazioni di casi di tossicità epatica. Da qui l’idea di Damon Little, bioinformatico al New York Botanical Garden che si è domandato se il problema non risiedesse nella purezza dei vegetali utilizzati. Grazie alla tecnologia del Dna-barcoding che individua e sequenzia specifiche aree del genoma di una pianta, Little e colleghi sono stati in grado ii stabilire che un quarto delle preparazioni in commercio non aveva niente a che fare con gli estratti di Actea racemosa. Gli integratori, a volte anche famosi e costosi, contenevano invece le specie asiatiche A. cimicifuga, A. dahurica e A. simplex. Con tutta probabilità l’errore si era generato per scorretta (e volontaria) etichettatura dei semi o delle radici che, come tali, non consentono di distinguere a occhio nudo tra una specie e l’altra. A questo punto i ricercatori vogliono ripetere l’indagine su altri fitoterapici, di uso popolare consolidato ma la cui efficacia è ancora in discussione, come Serenoa repens, Panax (ginseng), Harpagophytum procumbens (artiglio del diavolo), Allium sativum.
J AOAC Int. 2012 Jul-Aug; 95(4):1023-34