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20 Febbraio 2017

Tumore vescica, pembrolizumab prolunga la sopravvivenza dei pazienti


La sopravvivenza mediana dei pazienti con cancro alla vescica trattati con pembrolizumab è stata di 10,3 mesi rispetto ai 7,4 mesi osservati con la consueta chemioterapia, una differenza clinicamente e statisticamente significativa. Ecco, in sintesi, i risultati appena pubblicati sul New England Journal of Medicine di Keynote-045, uno studio in aperto internazionale multicentrico e randomizzato di fase III che ha messo a confronto il trattamento immunoterapico con pembrolizumab e la chemioterapia con vinflunina, docetaxel o paclitaxel in 542 pazienti affetti da carcinoma uroteliale metastatico, già trattati con una precedente chemioterapia a base di platino. «Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale altamente selettivo, disegnato per legarsi alla proteina PD-1 (Programmed cell Death-1), presente sulla superficie di alcuni globuli bianchi, che in questo modo vengono attivati e orientati ad attaccare il tumore» scrivono gli autori, coordinati da Joaquim Bellmunt, professore associato di medicina alla Harvard Medical School e direttore del Bladder Cancer Center al Dana-Farber Cancer Institute di Boston.

I vantaggi di sopravvivenza e risposta sono stati osservati in tutte le categorie di pazienti, indipendentemente dall'espressione del target del farmaco da parte del tumore. Buono anche il profilo di tollerabilità, che è risultato nettamente a favore di pembrolizumab rispetto al gruppo di controllo. «L'incidenza di effetti collaterali è stata del 60,9% con l'anticorpo monoclonale rispetto al 90,2% della chemioterapia» riprendono i ricercatori, aggiungendo che il tasso di eventi avversi gravi è stato del 15% con pembrolizumab rispetto al 49% con la chemioterapia. «Fino ad alcuni mesi fa non esistevano trattamenti efficaci per questi pazienti, e secondo gli autori lo studio Keynote-045 è un passo avanti nel trattamento di seconda linea dei pazienti affetti da carcinoma uroteliale metastatico refrattario alla chemioterapia» commenta in un editoriale Guru Sonpavde, dello University of Alabama Birmingham Comprehensive Cancer Center.

NejmEJM 2017. doi: 10.1056/NEJMoa1613683
https://dx.doi.org/10.1056/NEJMoa1613683

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