Politica e Sanità
16 Novembre 2011Una forma mutata della beta-proteina, se presente in omozigosi è associata a una forma grave del morbo di Alzheimer ma se è presenti in eterozigoti diventa protettiva. Lo hanno scoperto i ricercatori della Fondazione Istituto neurologico Carlo Besta e dell''Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, con la collaborazione di colleghi dell''università degli Studi di Milano, del Centro Sant''Ambrogio-Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio e del Nathan Kline Institute di Orangeburg (New York, Usa). Per avere leffetto protettivo, spiega il direttore del Dipartimento di malattie neurodegenerative del Besta, Fabrizio Tagliavini "la beta-proteina mutata si lega a quella normale e blocca la formazione di amiloide e lo sviluppo della malattia. Un comportamento biologico sorprendente", che "apre una nuova prospettiva terapeutica" sia per le forme genetiche (3%) che per quelle sporadiche (non familiari, 97%) di Alzheimer. Una speranza di cura "basata sull''uso di frammenti proteici contenenti questa mutazione o di composti peptido-mimetici", puntualizza Mario Salmona, direttore del Dipartimento di biochimica molecolare e farmacologia dell''Istituto Mario Negri. Medicinali efficaci "senza effetti collaterali", sottolinea Tagliavini.
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