Nutrizione
08 Gennaio 2015Potrebbe sembrare un argomento interessato e allusivo, proposto proprio al termine di un periodo dell'anno - le festività natalizie -celebrate inevitabilmente anche intorno a tavole imbandite, ma il discorso ha una finalità di maggior respiro. I potenziali effetti benefici di periodi di restrizione alimentare (totale o parziale) sono le frontiere della ricerca sulle conseguenze che lo stile alimentare può avere sulla salute e sui processi di degenerazione cellulare o di prevenzione e di cura di importanti malattie, specialmente quelle tipiche "del benessere", per esempio diabete e obesità. Come già osservato da studi condotti su diverse specie (lieviti, elminti, mammiferi) la restrizione calorica può ridurre l'incidenza e rallentare l'insorgenza di patologie cardiovascolari e neurodegenerative, migliorare la resistenza allo stress e decelerare il declino funzionale (Everitt, Roth, 2005). Ma dall'animale all'uomo il passaggio non è immediato e le prove che la restrizione dietetica arriverebbe anche ad allungare la vita dell'uomo (a differenza di quanto si è visto in altre specie) sono ancora da confermare. È recente la pubblicazione di una review degli studi disponibili su un aspetto che non riguarda tanto gli effetti di specifici componenti, quanto invece la frequenza di assunzione del cibo nell'arco della giornata e i potenziali benefici di periodi ad introito ridotto o anche pari a zero. Secondo i dati che emergono da studi sull'uomo e sui topi, si legge nello studio, una restrizione energetica di appena 16 ore potrebbe già migliorare gli indicatori di salute e contrastare alcuni processi patologici, modificando il metabolismo verso un maggiore utilizzo dei grassi, una produzione di corpi chetonici e la stimolazione di una risposta adattiva delle cellule sottoposte a stress, che previene e ripara i danni cellulari. Forme di restrizione alimentare sono già sperimentate anche per la gestione del peso (sotto controllo medico): dalla restrizione calorica (CR, dal 20 al 40% in meno di un consumo ad libitum), mantenendo adeguato l'introito di nutrienti, all'alternanza di giornate di digiuno (ADF, alternate-day fasting, 1 giorno ad libitum e 1 di digiuno), alla restrizione dietetica (DR, dietary restriction), tipicamente verso alcuni macronutrienti e senza quasi riduzione dell'introito calorico totale. In quest'ultimo caso sembra che solo la restrizione proteica (non quella lipidica, né glucidica) possa influire fino ad aumentare ad un massimo del 20% la durata della vita (tutto dovuto alla riduzione dell'aminoacido metionina). Qualsiasi restrizione comunque implica un notevole sforzo, anche di natura psicologica cui non tutti i pazienti sono portati. Le ragioni di attenzione riguardano inoltre i soggetti sensibili come anziani o persone affette da altre patologie. I vantaggi ipotizzati dai ricercatori tuttavia hanno una prospettiva molto ampia (e ambiziosa), che prevede un cambio di abitudini radicale, verso uno stile alimentare più frugale in grado di portare benefici anche a lungo termine sulla salute dell'intero organismo. Secondo gli autori, le ragioni risalirebbero a tempi remoti: il nostro stile alimentare, improntato a 3 pasti giornalieri, più almeno due snack, non sarebbe coerente in chiave evoluzionistica, quando da cercatori-raccoglitori l'organismo degli esseri umani era costretto a resistere a periodi di digiuno prolungato dato dalle difficoltà di procacciarsi il cibo per il sostentamento.
PNAS 2014111 (47): 16647-16653
Nutrition Journal 2011, 10:107
Francesca De Vecchi - esperta in scienze dell'alimentazione
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