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Politica e Sanità

15 Novembre 2011

In ospedale il farmaco è bio


Il 37% della spesa farmaceutica ospedaliera totale è dovuta all’acquisto di farmaci biotecnologi, per un totale di un miliardo e 600 milioni di euro, oltre il 20% dei quali indicati nel trattamento dei tumori

Il dato è stato riferito dal direttore generale dell''Agenzia italiana del farmaco (AIFA), Nello Martini, che ha partecipato, ieri a Roma, al convegno “Farmaci biotecnologici e farmaci biosimilari”, organizzato dalla Fondazione AIOM (Associazione italiana di oncologia medica). "In Italia il 22,5% di questi farmaci viene oggi utilizzato in oncologia - ha sottolineato Martini - il 12% per la cura dell''emofilia, il 9% contro la sclerosi multipla e il 12% per trattare l''anemia". Mentre per quanto riguarda la sfida dei biosimilari, versioni per così dire generiche dei farmaci biotech, oggetto di attenzione proprio per la loro non perfetta uguaglianza con la molecola d''origine e dunque per i possibili problemi d''impiego, secondo Martini non c''è da preoccuparsi perchè in Italia vige un sistema di controllo efficiente. "Il processo di registrazione è centralizzato e controllato dall''Agenzia europea del farmaco - ha ricordato - e per ottenere il via libera per un biosimilare vengono richiesti almeno due studi comparativi e uno studio di non inferiorità. Quando arrivano in Italia per l''autorizzazione, poi, questi prodotti vengono ulteriormente vagliati dagli esperti dell’AIFA. L''Agenzia ha infine deciso che i biosimilari non possono essere inclusi nelle liste di trasparenza, pertanto non sono sostituibili come i medicinali generici. Ci sono dunque tutte le garanzie di sicurezza e l''Italia non sconta ritardi n� lacune rispetto agli altri Paesi europei". Ma prima e oltre della questione della sostituibilità c’è una problema di informazione. In base a un sondaggio condotto su 704 oncologi italiani, illustrato da Emilio Bajetta, presidente della Fondazione AIOM, per uno specialista su due, infatti, si può dire che questi prodotti siano sconosciuti. "Alla domanda se i biosimilari possano essere definiti uguali alla molecola ''griffata'', così come accade per i farmaci generici, tre oncologi su 10 non sanno rispondere e due su 10 pensano, sbagliando, che vi sia identità completa con il prodotto d''origine" ha detto Bajetta. Dai dati dell''indagine risulta che "il 91% degli oncologi prescrive farmaci biotecnologici ai propri pazienti - prosegue Bajetta - ma ben il 54% dei medici non sa dire se oggi in Italia siano disponibili biosimilari. Sei oncologi su 10 ritengono comunque, giustamente, che la dimostrazione di bioequivalenza non sia sufficiente ad autorizzare un biosimilare". Incertezza anche per quanto riguarda i principali rischi apportati dai medicinali ''copie'' dei biotech: "Il 59% degli oncologi - dice l''esperto - ritiene che il pericolo maggiore sia che possano scatenare reazioni allergiche, mentre in realtà è l''immunogenicità a dover preoccupare di più, come indica correttamente solo il 32% del campione". Il 46% degli oncologi italiani ritiene comunque che il riconoscimento dell''equivalenza vada lasciato al medico, e il 77% si trova in accordo con la legge spagnola che impedisce al farmacista ospedaliero di sostituire il medicinale biotech con un analogo biosimilare.  Gli oncologi chiedono più informazione prima che il problema si faccia più esteso: oggi in Italia è disponibile solo un biosimilare, l''eritropoietina, ma in futuro l''offerta potrebbe ampliarsi. Dunque, l''80% degli specialisti vorrebbe che fosse istituito un tavolo di lavoro con Istituzioni, aziende, società scientifiche, medici e pazienti. La scarsa conoscenza dei biosimilari, comunque, sembra un dato generale: "Secondo un sondaggio effettuato nel 2007 su 500 oncologi statunitensi � ha fatto notare Francesco Boccardo, presidente AIOM - il 43% non aveva mai sentito parlare di questi prodotti". Ma secondo Nello Martini, "gli speci

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