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03 Febbraio 2025La comunicazione farmaceutica dovrebbe andare oltre il modello tradizionale di marketing di massa e concentrarsi su un approccio più relazionale e personalizzato. Il commento di Luca Pieri, presidente di Assofarm

Una comunicazione farmaceutica tecnicamente e deontologicamente più sostenibile può esiste se va oltre il modello tradizionale di marketing di massa e si concentrai su un approccio più relazionale e personalizzato. E il farmacista, grazie alla sua capacità di comunicare direttamente con i pazienti, è in una posizione privilegiata per contrastare la disinformazione e guidare la scelta del paziente, specialmente nella fase finale del "percorso di scelta". A proporlo è il presidente di Assofarm Luca Pieri in un editoriale sull’house organ dell’associazione in cui riflette sul rischio di “potenziali derive commerciali”.
Pieri muove una critica all'idea di concentrarsi troppo sugli "esotismi tecnologici" richiamando i rischi delle “dimensioni pervasive nella vita delle persone” che ha avuto internet: facilità di accesso alla rete, facilità di produzione di contenuti propri, arrivo degli smartphone.
“All’autorevolezza della laurea si è affiancata, o addirittura sostituita, la capacità comunicativa – scrive Pieri. - Le dimensioni quantitative del fenomeno sono ormai note. Oltre l’80% degli italiani fa ricerche online prima di rivolgersi ad un medico o di andare in farmacia. Il 70% di tutti noi segue influencer che si occupano di salute e benessere e dichiara di fare acquisti sanitari anche in base ai consigli ricevuti online” e ora c’è l’intelligenza artificiale, e secondo Pieri i primi report ufficiali sulle chat di AI, “quasi certamente confermeranno il trend qui delineato. Trend che delinea come il professionista sanitario ha ormai perso l’esclusiva sulle prime fasi del processo informativo del cittadino. Non però sulle ultime. Stiamo parlando di quello che la scienza della comunicazione chiama “percorso di scelta”, quella sorta di viaggio, cioè, che ognuno di noi compie dal momento in cui scopriamo di avere un bisogno a quando cerchiamo la soluzione migliore, fino al fatidico momento dell’acquisto di un prodotto o servizio”.
Per Pieri l’informazione online “compete con le professioni sanitarie durante le prime fasi di questo processo, quando appunto tutti noi siamo intenti a capire di cosa abbiamo bisogno”.
Ma i medici e i farmacisti possono avere un ruolo negli ultimi momenti di questo processo: “Sono ancora loro che governano la scelta finale del paziente. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché da anni i rilevamenti statistici confermano l’altissimo livello di gradimento e fiducia goduto dai farmacisti presso l’opinione pubblica italiana. Quali che siano le informazioni raccolte prima, quando il cittadino arriva al banco, si lascia guidare dal farmacista. Scopriamo così che il tempo dedicato al paziente, le parole e la sicurezza con le quali il farmacista consiglia uno specifico farmaco invece di un altro, ne descrive a memoria controindicazioni e posologia, non costituiscono solo l’unicum della sua professione. Questo rapporto diretto con il cittadino è anche il momento in cui la comunicazione può dispiegare il suo massimo potenziale”.
Quando si parla di comunicazione in farmacia, conclude Pieri, non c’è solo “quella di massa, basata sul modello uno-a-tanti. Possiamo invece concentrarci maggiormente su un approccio più relazionale e personalizzato. La disinformazione non si combatte online, ma al banco. Se questa prospettiva divenisse sempre più patrimonio collettivo del nostro settore, la comunicazione sarebbe un tema integrabile al dibattito sul rinnovamento della formazione universitaria e professionale del farmacista. Specularmente, la comunicazione potrebbe diventare un importante tema a favore di chi come noi sostiene il ritorno di tutti i farmaci nella farmacia territoriale. L’ottima capacità relazionale fin qui dimostrata dal farmacista potrebbe infatti essere certamente estesa anche alla distribuzione dei farmaci innovativi. L’innovazione del settore non passa solo attraverso esotismi tecnologici, la cui applicazione al delicato mondo del farmaco potrebbe generare più effetti collaterali che benefici. Dovremmo invece scandagliare più approfonditamente il potenziale tecnico dei nostri farmacisti e il valore aggiunto territoriale delle nostre farmacie”.
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