Vitamina D, aggiornamento nota 96: cosa cambia su prescrizione e dispensazione
A metà febbraio è stata aggiornata, sulla base di nuove evidenze scientifiche, la nota 96 Un provvedimento su cui sono state espresse alcune perplessità. Ecco cosa cambia
A metà febbraio è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Determina di Aifa che aggiorna, sulla base di nuove evidenze scientifiche, la nota 96, istituita nel 2019, sui criteri di appropriatezza prescrittiva relativa alla vitamina D e suoi analoghi - colecalciferolo e calcifediolo - per la prevenzione e il trattamento degli stati di carenza nell'adulto. Un provvedimento su cui sono state espresse alcune perplessità. Ma che cosa cambia?
Nota 96 aggiornata: ecco cosa si prevede
L'aggiornamento della Nota, aveva scritto Aifa, si è reso necessario a seguito della pubblicazione di nuove evidenze scientifiche che hanno ulteriormente chiarito il ruolo della vitamina D in assenza di concomitanti condizioni di rischio. In particolare, "sono stati presi in considerazione i risultati di due ampi studi clinici randomizzati - lo studio americano VITAL (LeBoff M et al, NEJM 2022) e lo studio europeo DO-HEALTH (Bischoff-Ferrari HA et al, JAMA 2020). Entrambi gli studi hanno concluso che la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2000 UI die di colecalciferolo) e per diversi anni (oltre 5 anni nel primo studio e 3 anni nel secondo) non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi. Questi risultati si sono confermati anche tra i soggetti con livelli più bassi di vitamina 25(OH)D. A questi studi principali si aggiunge la ricca letteratura riguardante l'utilizzo nel COVID-19 che non ha dimostrato alcun beneficio della vitamina D anche in questa condizione. Per ricapitolare, "le modifiche, quindi, previste con l'aggiornamento della Nota 96 prevedono l'introduzione della nuova categoria di rischio "persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio"; la riduzione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio associate, necessario ai fini della rimborsabilità; la specificazione di livelli differenziati di vitamina 25(OH)D sierica in presenza di determinate condizioni di rischio (ad es. malattia da malassorbimento, iperparatiroidismo) già presenti nella prima versione della Nota; l'aggiornamento del paragrafo relativo alle evidenze più recenti sopracitate e inserimento di un breve paragrafo dedicato a vitamina D e COVID-19; l'introduzione di un paragrafo sui potenziali rischi associati all'uso improprio dei preparati a base di vitamina D". La nota fa comunque riferimento alla popolazione adulta (dai 18 anni). Pertanto, non sono previste restrizioni nella rimborsabilità in età pediatrica.
Medici lanciano l'allarme: si rischia aumento di costi e burocrazia
La misura, tuttavia, ha sollevato da una parte del mondo medico alcune perplessità. Si tratta "in apparenza di un intervento teso a risparmiare" ha detto Raffaella Michieli, Responsabile Area Salute Donna della Società Italiana di Medicina Generale, "ma in realtà potrebbe far aumentare la spesa per i pazienti e la burocrazia. Il SSN non risparmierà facilmente: la nota moltiplica le situazioni in cui la prescrizione va preceduta da un dosaggio a carico del servizio sanitario: un esame che sarà sempre più richiesto, gravando sui bilanci regionali magari più di quanto pesasse la spesa per i farmaci a base di vitamina D". Per Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (Sie), "studi sperimentali mostrano quanto la vitamina D sia importante per il buon funzionamento di diversi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico. Il risultato è che noi continuiamo a consigliarla e i cittadini ormai quasi sempre la pagano per conto loro. La vitamina D in circolo è un parametro di buona salute, mentre la sua carenza è legata a un elevato livello infiammatorio nell'organismo, con tutte le malattie collegate. Il suo deficit è correlato allo sviluppo tumori, al peggioramento di obesità e diabete, all'aumento dell'ipertensione. Inoltre è difficile valutare il dosaggio della vitamina D in circolo: la glicemia è misurabile in modo più attendibile rispetto a uno steroide di cui possiamo fare solo una stima approssimativa, con grandi variazioni tra un dosaggio e un altro".
Positiva inclusione di persone allettate e al domicilio
Per gli endocrinologi dell'Associazione Medici Endocrinologi (AME) "rimane vago il ruolo dell'osteomalacia che è citata nel background della nota, ma non supportata con adeguata chiarezza. Il quadro sintomatico dell'ostemalacia è riportato quando si fa riferimento a soggetti sintomatici con bassi valori di 25(OH)D. Viene ragionevolmente ripreso nel gruppo degli iperparatiroidismi secondari. Mancano, però, altre considerazioni laboratoristiche e strumentali che potrebbero concorrere alla diagnosi come Bassi valori di Fosforemia e di Calcemia (corretta per l'Albuminemia); Ipocalciuria; Elevati valori di Fosfatasi Alcalina; Alterazioni radiologiche (pseudofratture) o scintigrafiche (aree multiple di captazione) e Riduzione della BMD. La nota non dà chiare indicazioni in tal senso e pertanto rimane al clinico la cura e l'attenzione nella diagnosi".
Da parte della Società italiana dell'osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms), poi, viene sottolineato che "si condivide il giudizio sulla inappropriatezza di uno screening esteso alla popolazione generale ritenendo che la determinazione dei livelli di 25(OH)D dovrebbe essere eseguita solo in presenza di fattori di rischio per carenza e quando risulti utile per la gestione clinica dei pazienti". Si apprezza comunque "il riconoscimento dell'opportunità di una supplementazione in persone con grave carenza di vitamina D, anche se asintomatiche e il recepimento da parte dell'Agenzia italiana del farmaco dell'opportunità di innalzare la soglia minima desiderabile dei livelli sierici di 25(OH)D da 20 ng/ml (o 50 nmol/L) a 30 ng/ml (o 75 nmol/L) nei pazienti affetti da osteoporosi o altre osteopatie accertate, riconoscendo che la correzione del deficit di vitamina D rimane uno dei capisaldi della terapia per l'osteoporosi, mentre la supplementazione con vitamina D di soggetti sani e senza carenza di vitamina D appare comprensibilmente inutile, come già ben noto e dimostrato dai risultati tutt'altro che sorprendenti di recenti studi clinici". Tuttavia, precisano gli esperti, "si ritiene che andrebbero incluse anche altre condizioni a rischio di ipovitaminosi D come quelle legate a forzate condizioni di ridotta esposizione solare (ad esempio per motivi lavorativi o culturali o per condizioni che controindicano l'esposizione ad Uvb) o quelle legate ad incapacità a produrre adeguate quantità di vitamina D nonostante l'esposizione solare, come ad esempio in età avanzata". Inoltre "si ritiene che la prosecuzione della supplementazione con vitamina D vada garantita a carico del SSN indipendentemente dalla determinazione della 25(OH)D anche nei pazienti già in trattamento con vitamina D e farmaci per osteoporosi secondo nota 79 od altre osteopatie accertate".
Nella nota, va detto, vengono da tutti sottolineati alcuni aspetti positivi, tra cui, come evidenziato da Michieli, "la chance di prescrivere la vitamina D anche a "persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio", cioè a pazienti gestiti a casa loro e non nelle residenze assistenziali o ricoverati in riabilitazione; la vitamina inoltre sarà concessa dal servizio sanitario anche a persone asintomatiche ma a grave rischio frattura per valori molto bassi".
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A cura di Redazione Farmacista33
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