Fase 2, rilevazione temperatura e contagio in farmacia: come gestire privacy dipendenti e clienti
L'emergenza Covid-19 ha portato alla ribalta la gestione dei dati personali in ambito sanitario. Per quanto riguarda le farmacie, tra le possibilità della normativa relativa alla sicurezza, c'è anche quella di rilevare la temperatura a lavoratori e clienti
L'emergenza legata al Covid-19 ha portato alla ribalta la gestione dei dati personali in ambito sanitario. Una esigenza sentita in modo particolare in relazione a una delle strategie di gestione della Fase 2, che poggia sull'utilizzo della App di tracciamento, ma che è viva in ogni momento della vita lavorativa. In particolare, per quanto riguarda le farmacie, tra le possibilità poste dalla normativa relativa alla sicurezza c'è anche quella di rilevare la temperatura a lavoratori e clienti. Ma come farlo nel rispetto della Privacy? Come gestire un eventuale caso di contagio? E quali attenzioni vanno messe in atto per le fragilità?
Rilevazione della temperatura di lavoratori e clienti. Che cosa è lecito?
A rispondere a queste domande è il Garante della Privacy che alla luce delle novità normative portate con il passaggio alla Fase 2 ha aggiornato le indicazioni per la gestione delle diverse situazioni nelle Faq, disponibili da ieri. Faq che, come si legge sul sito del Garante, «contengono indicazioni di carattere generale ispirate alle risposte fornite e a reclami, segnalazioni, quesiti ricevuti in questo periodo». Un primo punto analizzato riguarda la possibilità per il datore di lavoro di rilevare la temperatura corporea del personale dipendente o di clienti all'ingresso della propria sede, una misura contenuta nel Protocollo condiviso di tra Governo e parti sociali del 24 aprile. Al riguardo il Garante rileva che «la temperatura corporea, quando è associata all'identità dell'interessato, costituisce un trattamento di dati personali». Pertanto «non è ammessa la registrazione del dato» ma, «è consentita la registrazione della sola circostanza del superamento della soglia e comunque, quando sia necessario, le ragioni che hanno impedito l'accesso al luogo di lavoro. Diversamente nel caso in cui la temperatura corporea venga rilevata a clienti (per esempio, nell'ambito della grande distribuzione) non è, di regola, necessario registrare il dato relativo al motivo del diniego di accesso».
Autodichiarazioni e informazioni sull'eventuale esposizione al contagio
«Il dipendente» da parte sua «ha lo specifico obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro». Non a caso, «tra le misure di prevenzione e contenimento del contagio che i datori di lavoro devono mettere in atto, vi è la preclusione dell'accesso alla sede di lavoro a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al Covid-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell'Oms».
Contagio in farmacia: che cosa deve fare il datore di lavoro?
In caso di contagio in farmacia, «i datori di lavoro, nell'ambito dell'adozione delle misure di protezione e dei propri doveri in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, non possono comunicare il nome del dipendente o dei dipendenti che hanno contratto il virus, a meno che il diritto nazionale lo consenta». Ma «in base al quadro normativo nazionale devono comunicare i nominativi del personale contagiato alle autorità sanitarie competenti e collaborare con esse per l'individuazione dei "contatti stretti" al fine di consentire la tempestiva attivazione delle misure di profilassi». In ogni caso, «non può essere resa nota l'identità del dipendente affetto da Covid-19 agli altri lavoratori. Spetta alle autorità sanitarie competenti informare i "contatti stretti" del contagiato, al fine di attivare le previste misure di profilassi. Il datore di lavoro è, invece, tenuto a fornire alle istituzioni competenti e alle autorità sanitarie le informazioni necessarie».
Medico del lavoro: quali dati comunicare al datore di lavoro?
Un altro punto riguarda invece le informazioni raccolte dal medico competente: «In capo a tale figura permane, anche nell'emergenza, il divieto di informare il datore di lavoro circa le specifiche patologie occorse ai lavoratori». Ma «il medico può segnalare "situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti"», cioè «quei casi specifici in cui reputi che la particolare condizione di fragilità connessa anche allo stato di salute del dipendente ne suggerisca l'impiego in ambiti meno esposti al rischio di infezione. A tal fine, non è invece necessario comunicare al datore di lavoro la specifica patologia eventualmente sofferta dal lavoratore».
Ricetta elettronica: invio del medico a paziente e a farmacista
Alcune riflessioni del Garante riguardano poi anche la gestione delle prescrizioni: «Al fine di evitare che i cittadini si rechino presso gli studi dei medici di base per ritirare le ricette» ricorda il Garante «l'ordinanza della protezione civile del 19 marzo 2020 ha previsto che il medico possa trasmettere all'assistito la ricetta per posta elettronica, via SMS o telefonicamente. Nel caso di invio tramite e-mail, il promemoria della ricetta sarà allegato al messaggio e non inserito come testo nel corpo del messaggio stesso. Nel caso di comunicazione telefonica o tramite sms, sarà invece sufficiente comunicare all'assistito il solo Numero della ricetta elettronica prescritta». Inoltre, «con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentito il Garante, è stato previsto che l'assistito che abbia ricevuto dal medico gli estremi della ricetta per posta elettronica, via sms o telefonicamente, possa comunicarla, con le stesse modalità, alla farmacia. Le disposizioni adottate nel periodo emergenziale prevedono anche che l'assistito possa delegare il medico a inviare la ricetta direttamente alla farmacia, tramite posta elettronica o attraverso lo stesso sistema che genera la ricetta».
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A cura di Redazione Farmacista33
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