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Politica e Sanità

02 Maggio 2016

Stage, Conasfa: Piemonte modello virtuoso in linea con circolari Fofi


Ben venga l'esempio del Piemonte, un modello virtuoso da seguire per ciò che riguarda la situazione stage post lauream in farmacia, con particolare riferimento alla ferrea applicazione della policy regionale che prevede la possibilità di utilizzare questa formula lavorativa solo per i laureati non ancora iscritti all'Ordine professionale. Ad affermarlo è la Federazione Nazionale Associazioni Farmacisti Non Titolari (Conasfa) che in una nota pubblica chiarisce la propria posizione sul tema: «Conasfa concorda con la proposta di Sinasfa e di Asfi di introdurre il divieto di estendere agli iscritti agli ordini professionali (anche per le professioni diverse da quella di farmacista) lo svolgimento di tirocini di formazione ed orientamento proprio sull'esempio del Piemonte». Secondo Conasfa va posto una limitazione nell'utilizzo di questa formula perché «il rischio è che venga utilizzata come una forma di lavoro a basso costo e a rotazione». Inoltre, aggiunge che lo stage costituirebbe «una sorta di "ripetizione" del tirocinio curriculare già svolto dal laureando» e perderebbe «il suo significato sia per quello che riguarda l'aspetto formativo (già avvenuto con il tirocinio curriculare), che l'orientamento (le farmacie del territorio hanno tutte aspetti lavorativi molto simili)».

A tal proposito, pochi giorni fa si era espresso il presidente Asfi Maurizio Cini su Farmacista33, accennando all'esistenza di due circolari della Fofi che, come ribadisce, «evidenziano l'incompatibilità della formula dello stage post lauream per il farmacista professionista con l'articolo 18 del codice deontologico secondo il quale è sanzionabile deontologicamente lo sfruttamento dei colleghi e questo è sfruttamento». La prima è del 1988, quando era richiesta la pratica professionale di due anni per poter accedere alla titolarità. L'allora presidente della Fofi Giacomo Leopardi firmava una circolare ufficiale secondo la quale «il concetto di "pratica professionale" si identifica con il concreto esercizio dell'attività professionale svolta presso farmacie private o pubbliche o presso farmacie militari...La scrivente non ritiene che una prestazione di lavoro a titolo gratuito, sia pure finalizzata al conseguimento della "pratica professionale", possa considerarsi compatibile con il decoro e la dignità professionale, atteso che potrebbe facilmente tradursi, di fatto, in un inammissibile sfruttamento dell'attività del professionista praticante». Nella seconda, del 2012, firmata Andrea Mandelli, si afferma che «...nel caso delle farmacie, il "praticante" è comunque un professionista abilitato e iscritto all'albo e, pertanto, non è un tirocinante (si ricorda, in proposito, che, per la professione di farmacista, il tirocinio fa parte del corso di studi, a differenza di quanto accade per altre professioni...).

Alla luce di tali considerazioni ed anche in ragione della specifica sanzione, fissata dall'art. 18 del Codice Deontologico del Farmacista, per il professionista che "pone in essere o favorisce forme di sfruttamento dell'attività professionale dei colleghi", si ritiene che la previsione di un rimborso forfetario sia giustificato solo qualora l'attività del praticante si configuri effettivamente come prestazione liberoprofessionale e non presenti le caratteristiche di un rapporto di lavoro di altro genere (ad es. lavoro dipendente con vincoli di orari, subordinazione gerarchica, ecc...)». In merito alla retribuzione si afferma che «in linea di diritto non si può negare la liceità della pratica professionale svolta come prestazione libero-professionale volontaria, a titolo-gratuito, espressamente finalizzata all'espletamento della pratica stessa» (Circolare n. 3157 del 4 maggio 1988) e che «non si può negare la liceità della pratica professionale svolta esclusivamente come prestazione di lavoro autonomo libero - professionale con la previsione di un rimborso forfetario". (Circolare n. 7970 del 24 maggio 2012)».


Attilia Burke

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