Farmaci generici, non decolla la prescrizione. In arrivo position statement Gimbe
Medici di famiglia assidui prescrittori di farmaci generici? In Italia no. Non pare, perlomeno. Sul territorio la prescrizione di farmaci equivalenti lascia a desiderare, nonostante le prescrizioni di legge e i segnali che danno il mercato comunque in crescita (ma non in tutti i comparti è così vero). La nota dissonante è sottolineata da Nino Cartabellotta presidente della Fondazione Gimbe, nata per favorire l'integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone. Alla vigilia della presentazione del Position Statement Gimbe sui farmaci equivalenti -in programma prossima settimana - Cartabellotta lancia un allarme. Premessa: già nella recente conferenza stampa di Assogenerici è stato confermato come da anni gli equivalenti nel nostro paese siano fermi al 20% del volume dei farmaci a brevetto scaduto dispensati in fascia A che sono la quasi totalità dei medicinali dispensati nelle farmacie convenzionate a seguito di prescrizione. Guardiamo ora la stessa medaglia in termini di valore.
Spesa farmaceutica totale e nelle farmacie - «Per il 2015 il rapporto Osmed pubblicato annualmente dall'Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) riporta che, di tutta la spesa farmaceutica italiana, ospedaliera più territoriale, i farmaci a brevetto scaduto costituiscono il 21,4%. Ma fatto cento l'insieme dei "brevetti scaduti", solo il 28% della spesa è costituito da farmaci equivalenti mentre il 72% riguarda ancora farmaci di marca. Tre medicinali dispensati su quattro sono branded», spiega Cartabellotta. Spostiamoci ora sul territorio. «Nelle farmacie convenzionate i farmaci a brevetto scaduto -ricordiamo, "maggioritari" in termini di volumi venduti- nel 2015 hanno rappresentato il 54,2% della spesa netta (prescrizioni dirette dei medici di famiglia o trascritte da prescrizioni specialistiche): ma se guardiamo le percentuali tra farmaci di marca e brevetto scaduto di fatto sono praticamente identiche a quelle sopra riportate». Per tre quarti si tratta di "brand", di farmaci di marca con brevetto scaduto per i quali i pazienti pagano l'eventuale quota differenziale aggiuntiva rispetto al prezzo massimo rimborsato dal Ssn, secondo quanto riportato dalle liste di trasparenza Aifa, e per un quarto di generici equivalenti.
Legge poco incisiva? - La legge 135 del 2011 che all'articolo 15 comma 11 bis impone al medico di famiglia prescrivere il nome del principio attivo se cura un paziente, per la prima volta per una patologia cronica o per un nuovo episodio di patologia acuta, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, e l'indicazione è vincolante per il farmacista. Nonostante questo resta una così larga fetta di farmaco "brand" nella prescrizione di principi attivi a brevetto scaduto. Perché? «Perché- conclude Cartabellotta - c'è limitata volontà politica e attenzione delle Istituzioni, scarsa cultura professionale (medici e farmacisti) sui farmaci equivalenti e un senso di diffidenza generale nella popolazione sugli equivalenti, per la quale il termine "generici", verosimilmente ha peggiorato la percezione sulla loro qualità, efficacia e sicurezza. Inoltre, non va trascurato che nel 54,2% della spesa per farmaci brand dal brevetto scaduto, verosimilmente la maggior parte viene prescritta a pazienti già in cura per una malattia cronica per i quali i medici non sono obbligati alla sostituzione del farmaco di marca con l'equivalente».
Mauro Miserendino
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