Farmaci e dintorni
12 Febbraio 2014Non si può perdere l’opportunità di sfruttare l’enorme potenziale di risparmio che si potrebbe avere dalla disponibilità di un ampio numero di biosimilari nei prossimi anni, a causa di pregiudizi ancora esistenti su questi farmaci. È il messaggio emerso ieri a Milano in un confronto tra farmacologi, ematologi e oncologi alla vigilia di un quinquennio in cui scade il brevetto di un alto numero di farmaci biotecnologici. «Per essere approvati da Ema e Aifa, i biosimilari devono fornire evidenze di comparabilità, ossia dimostrare di essere sovrapponibili in termini di efficacia e sicurezza rispetto ai farmaci già presenti sul mercato» ricorda Armando Genazzani, docente di Farmacologia dell’università del Piemonte Orientale di Novara. «Inoltre, meno biosimilari si usano, meno risorse si hanno per acquistare altri farmaci, magari unici e innovativi». Però «le norme che indicano di prescrivere il farmaco meno costoso non offrono garanzia di successo» osserva Andrea Messori, vicepresidente della Società italiana di farmacia clinica e terapia. «Occorre allora convincere il clinico alla prescrizione dei biosimilari sulla base delle evidenze cliniche». «Nella pratica clinica ematologica è sempre più frequente l’uso dei fattori di crescita biosimilari come terapia di supporto durante i regimi di chemioimmunoterapia dei linfomi e dei mielomi» commenta Adriano Venditti, docente di Ematologia dell’Università Tor Vergata di Roma. «Il G-Csf e l’epoietina alfa biosimilari, infatti, sono parte integrante della terapia di supporto nelle diverse procedure terapeutiche. Ora rituximab è in scadenza di brevetto e sono già partiti trial clinici di confronto con l’originatore». «Anche il tema dello switch non è un problema» sottolinea Giovanni Rosti, direttore dell‘Oncologia dell‘Ospedale Regionale Ca’ Foncello ULSS9 di Treviso. «Chi inizia la terapia con un farmaco (biosimilare o originatore) è bene che continui con quel farmaco». «Anche perché» aggiunge Venditti «la continuità rafforza il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Inoltre non si perde la tracciabilità del farmaco per potenziali effetti collaterali». Infine, secondo Paolo Marchetti, docente di Oncologia medica all’Università La Sapienza di Roma, occorre puntare sulla formazione e investire risorse sui giovani medici coinvolgendoli in studi specifici sui biosimilari.
Arturo Zenorini
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