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Farmaci e dintorni

09 Settembre 2014

Integratori alimentari, da uso crescente lesioni al fegato triplicate


Nel corso degli ultimi 10 anni gli integratori alimentari dietetici o a base d'erbe usati dai cultori del body building o dalle donne di mezza età per cercare di perdere peso sono diventati una causa sempre più importante di lesioni al fegato. Lo dimostra uno studio pubblicato su Hepatology coordinato da Victor J. Navarro, dell'Einstein medical center di Philadelphia (Usa). I ricercatori hanno condotto uno studio prospettico su 839 pazienti con danno epatico indotto da integratori o farmaci convenzionali in un periodo compreso tra il 2004 e il 2013. È emerso che 45 casi erano dovuti a supplementi per culturisti, 85 ad altri integratori (multivitaminici, supplementi di calcio od omega-3) e 709 da farmaci. Durante i 10 anni di studio la quota di coinvolgimento nelle lesioni epatiche da parte degli integratori è aumentata dal 7% al 20%. A essere responsabili delle lesioni epatiche più gravi, determinando 13 tra decessi o trapianti di fegato, non si sono però dimostrati gli integratori assunti dai culturisti bensì quelli a base di erbe solitamente assunti per perdere peso o disintossicarsi, oppure prodotti energizzanti o multivitaminici. Addirittura i danni causati da queste sostanze sui pazienti esaminati sono risultati superiori a quelli determinati dagli stessi farmaci: 13% vs 3%. La tossicità epatica associata agli integratori per culturisti è stata osservata principalmente in uomini giovani, nei quali si è manifestata con un ittero prolungato (in media 91 giorni) senza eventi fatali o necessità di trapianto epatico. «Molti americani credono che gli integratori siano sicuri e i regolamenti governativi richiedono meno prove di sicurezza ai prodotti in vendita sul mercato rispetto a quelle richieste ai farmaci» sottolinea Navarro. «In realtà, essendo sottoposti a controlli meno rigidi, questi integratori hanno potenzialmente conseguenze più pericolose, tali addirittura da mettere a repentaglio la vita».

Arturo Zenorini

Per leggere l'articolo pubblicato su Hepatology clicca qui

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