Scompenso cardiaco, telemonitoraggio per migliore gestione della terapia
È la seconda causa di ricovero dopo il parto, interessa un milione di persone in Italia e, a cinque anni dalla diagnosi, presenta un tasso di mortalità del 50%. Si tratta dello scompenso cardiaco (Sc), una condizione complessa e progressivamente invalidante legata all'invecchiamento, oltre che a un cattivo controllo dell'ipertensione arteriosa e alla cardiopatia ischemica. Ogni anno si registrano 200 mila nuovi casi, e la prevalenza cresce con l'aumentare dell'età, raggiungendo anche il 20% negli ultraottantenni. La sempre più alta aspettativa di vita, il prolungamento della sopravvivenza negli individui cardiopatici e le maggiori opzioni terapeutiche disponibili, inoltre, ne fanno prevedere un incremento del 2,3% per i prossimi dieci anni. La patologia ha costi sanitari e sociali elevati: tra costi diretti e indiretti il Ssn spende circa 400 milioni di euro all'anno, pari all'1,2% della spesa sanitaria totale; i tre quarti della somma sono legati all'ospedalizzazione. Lo Sc incide profondamente sulla qualità di vita dei pazienti, spesso gravati dalla concomitante presenza di alte malattie, limitandone anche le più semplici attività quotidiane e sfociando nell'insufficienza cardiaca. Le frequenti riospedalizzazioni -secondo dati dello studio Arno il 56,6% dei pazienti viene ricoverato entro un anno dalla prima volta- pesano per una cifra stimata di 6.160 euro per paziente, costo che sfiora gli 8.000 euro per il sottogruppo di pazienti al terzo ricovero. Difficile la gestione anche dal punto di vista terapeutico: a un anno dalla dimissione l'aderenza alla terapia farmacologica è pari al 29%, nonostante la disponibilità di nuovi farmaci - come l'associazione sacubitril/valsartan che agisce con meccanismo di azione di modulazione neuro-ormonale - in grado di ridurre la mortalità in tutte le categorie di pazienti. Accanto ai farmaci esiste la possibilità di impiegare dispositivi di assistenza ventricolare (Vad) che offrono il vantaggio di poter gestire e monitorare la malattia, e di intervenire per diminuire gli episodi acuti e quindi anche i ricoveri e i costi a essi associati. La sfida per il futuro, secondo i clinici, riguarda però i pazienti non candidabili a trapianto o assistenza meccanica, caratterizzati da bassa qualità di vita e frequenti ricoveri. Su questi casi, e sulla base dell'impiego della telemedicina, l'obiettivo è intercettare la fase di peggioramento prima del conclamarsi delle condizioni che conducono al ricovero. La tecnologia del telemonitoraggio domiciliare, inizialmente basata sulla trasmissione manuale dei dati da parte del paziente a un server centrale, può oggi contare su un sistema automatico indipendente da medico e paziente. Tra le più recenti innovazioni, approvata dall'Fda ma non facente parte del sistema DRG, un dispositivo impiantabile che rileva la pressione arteriosa polmonare, permettendo il monitoraggio continuo del paziente e di rivedere i dati da remoto. Misurare la pressione polmonare è un'operazione che non viene effettuata regolarmente e che comporta una dose di invasività, ma i cui risultati sono importanti per calibrare la terapia farmacologica. Il dispositivo è stato valutato da uno studio randomizzato (studio Champion) condotto su 550 pazienti dal quale risulta una riduzione del 37% delle ospedalizzazioni per scompenso a favore del gruppo sottoposto a questo tipo di monitoraggio, rispetto al gruppo di controllo. L'obiettivo, sostengono i clinici, è quello di poter utilizzare in futuro questo tipo di sistemi, da riservare comunque a pazienti selezionati, per ridurre così ricoveri ed eventi.
Stefania Cifani
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