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Diritto Sanitario

13 Novembre 2018

Parallel trade, il prodotto importato non può cambiare nome


Una Società operante nel settore della distribuzione dei farmaci e in particolare nel mercato delle cosiddette importazioni parallele, chiedeva l'autorizzazione all'importazione (parallela) di un medicinale diversamente denominato in Italia rispetto al prodotto estero. L'Aifa autorizzava l'importazione del farmaco senza tuttavia mutarne il nome mediante una assegnazione al medicinale da importare della stessa denominazione di quello commercializzato in Italia.

In linea generale, i soggetti operanti nel mercato delle importazioni parallele, previa autorizzazione dell'Aifa, importano dall'estero e commercializzano in Italia attraverso il proprio canale distributivo specialità farmaceutiche già commercializzate da altri soggetti, sempre in Italia, seppure sotto diverso nome.
La Società ricorreva contro la decisione autorizzatoria assumendo la violazione degli artt. 34 - 36 del Trattato UE nonché degli artt. 3 e 41 Costituzione, in quanto l'amministrazione, nell'autorizzare l'importazione del farmaco, non ne aveva mutato il nome e, in particolare, non aveva assegnato al medicinale da importare la stessa denominazione di quello commercializzato in Italia, determinando - secondo la ricorrente - una impossibilità di commercializzare il prodotto stesso nel circuito italiano in ragione di una concreta restrizione delle importazioni e dunque di un isolamento artificioso dei mercati nazionali.

L'oggetto del gravame proposto era quindi costituito dal fatto che la Società ricorrente otteneva l'autorizzazione alla importazione parallela per la denominazione utilizzata nel paese di provenienza anzi ché per quella del medicinale propria del paese di destinazione.

Si è osservato che, in generale, l'importatore parallelo deve conservare la stessa denominazione del medicinale utilizzata nel paese di provenienza, salvo non si registrino restrizioni o impedimenti alla commercializzazione del prodotto oppure un "rischio di confondimento per la salute pubblica". Il "rischio di confondimento" è normalmente ricollegabile alla presenza, nel territorio di destinazione, di farmaci diretti a curare altre e diverse malattie i quali possiedono, tuttavia, una denominazione del tutto analoga o similare a quella del prodotto che si intende importare in via parallela.

L'Aifa, come si è affermato anche in altre decisioni, può stabilire di mutare la denominazione di un farmaco di importazione parallela per evitare il confondimento con altre specialità medicinali già autorizzate, in applicazione della "Guideline on the acceptability of names for human products". Analogamente dispongono le Linee guida dell'Emea dell'11 dicembre 2007, che raccomandano di evitare l'uso di denominazioni la cui somiglianza possa ingenerare problemi di sicurezza nell'uso dei prodotti, nonché la Raccomandazione del Ministero della salute n. 12 dell'agosto 2010.

Nel caso specifico il TAR ha respinto il ricorso affermando tra l'altro la mancata dimostrazione di valide ragioni giustificative il cambio di denominazione.

Avvocato Rodolfo Pacifico- www.dirittosanitario.net
Per approfondire, TAR Lazio 29 agosto2018 su ww.dirittosanitario.net

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