Politica e Sanità
17 Novembre 2011Ci sono voluti mesi di trattative al calor bianco perché il 15 aprile le Regioni arrivassero a un’intesa sul riparto del fondo sanitario 2011 che non scontentasse nessuno. Ma le cifre che scaturiscono da quell’accordo, ufficializzate nei giorni scorsi, non sono molto diverse da quelle che sarebbero venute fuori se si fosse applicato lo schema di riparto per fasce di età proposto nell’autunno scorso dal Cerm, il centro studi diretto dall’economista Fabio Pammolli. Una coincidenza che ha spinto i ricercatori dell’istituto a prendere carta e penna e rivendicare qualche merito: il riparto, è in sostanza il ragionamento, è costato mesi di discussioni tra governatori quando sarebbe bastato adottare una regola di riparto «codificata ex-ante, chiara, che mette in atto una strutturale perequazione tra regioni. Il gioco è valso la candela?». Lo schema elaborato dal centro studi prevede un riparto parametrato sulla spesa procapite per fasce d’età in cinque Regioni benchmark, scelte tra quelle che nell’ultimo quinquennio hanno evidenziato i migliori risultati tra spesa programmata e spesa consuntiva (per il Cerm Umbria, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia). La cosa sorprendente, come detto, è che se si fossero divisi i 104 miliardi e rotti del Fondo 2011 in base al modello dell’istituto, ogni Regione avrebbe preso quasi la stessa cifra dell’intesa del 15 aprile: in base a una stima del centro studi, gli scostamenti non supererebbero verso il basso il -0,35% e verso l’alto il +0,74%, cioè differenze minime. Di qui la proposta che il Cerm rivolge immediatamente alle Regioni: si adotti «subito» lo schema dell’istituto e lo si mantenga nel medio periodo con aggiornamenti ogni 5-7 anni, in modo da permettere a Stato e Regioni di concentrarsi su problemi quali «la perequazione infrastrutturale, il riassorbimento dei gap di efficienza di gestione corrente e il rientro dalle posizioni debitorie esistenti nei Servizi sanitari regionali». Il resto è solo rumore. Per nulla, come diceva Shakespeare.
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