Politica e Sanità
17 Novembre 2011Nei paesi dove à stata adottata, la remunerazione mista basata su un “fee” per le prestazioni professionali sembra fare bene alla redditività delle farmacie. Questo, almeno, è ciò che emerge da un servizio pubblicato giovedì dalla rivista francese Journal International de Medicine. L’articolo, in particolare, si sofferma sull’esperienza di due paesi, Belgio e Svizzera. Per il primo la scelta non è casuale perché ad aprile fa esattamente un anno dal varo della riforma che nel 2010 vide le farmacie belghe abbandonare la remunerazione basata sul margine (il 31% sul prezzo ex-factory) per un sistema tripartito comprendente una quota fissa a confezione (3,88 euro), una quota percentuale ( il 6,04%, che diventa 8 per i farmaci con prezzo superiore ai 60 euro) e un onorario calcolato su una serie di prestazioni professionali. I primi bilanci a dodici mesi da quella riforma sembrano dare ragione ai suoi sostenitori: in questo lasso di tempo, infatti, la redditività globale delle farmacie è salita del 3,3% a fronte di un giro d’affari che è cresciuto del 3% in volumi e dell’1% in valori. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalle politiche messe in campo dalle casse malattia e dalle assicurazioni: per risparmiare sulla quota fissa, i “payor” hanno avviato politiche dirette a incentivare il consumo delle confezioni di formato maggiore, tanto che oggi i sindacati dei farmacisti belgi stanno studiando una correzione alla riforma per legare la quota fissa non più alla confezione ma alla ddd, la dose definita giornaliera. Bilanci più o meno analoghi anche in Svizzera, dove dal 2001 è in vigore un modelli di remunerazione basato su punti variabili in base alle prestazioni professionali erogate dal farmacista. Tra il 2005 e il 2010, scrive il Journal International de Medicine, il giro d’affari delle farmacie elvetiche è passato da 592 a 676 millioni di franchi svizzeri, mentre gli utili sono cresciuti in media del 2-3% l’anno. Anche qui la medaglia ha il suo rovescio, che i titolari d’Oltralpe individuano soprattutto nella relazione con il paziente: molti clienti non si sono ancora abituati al fatto che il prezzo stampato sulla confezione rappresenta solo una parte di quello che poi viene chiesto loro al momento di pagare, perché l’onorario professionale è conteggiato a parte. Di qui lamentele e soprattutto il sospetto di ricarichi non sempre trasparenti.
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