Politica e Sanità
17 Novembre 2011Non è affatto detto che liberalizzazione ed efficienza economica si coniughino sempre con equità ed efficacia. Nella distribuzione dei medicinali, per esempio, è lecito avanzare qualche dubbio, come dimostra lo studio condotto dal Resc (Ricerche economiche società cooperativa) per conto dell’Unione nazionale consumatori per analizzare gli effetti di un’eventuale liberalizzazione della fascia C sulle farmacie rurali. La ricerca, presentata ieri a Roma, prende le mosse da una fotografia dell’esistente già nota agli addetti ai lavori: in Italia il quorum delle farmacie (una ogni 3.374 abitanti) è del tutto paragonabile a quello europeo (una ogni 3.323), dunque sarebbe scorretto presentare le liberalizzazioni come una riparazione alle inefficienze della rete. C’è poi il pianeta “rurali”, formato da oltre 6.000 farmacie collocate in zone spesso prive di servizi pubblici e caratterizzate da una redditività che in media è inferiore del 16% rispetto alle urbane (e nel caso delle sussidiate scende addirittura alla metà). Per dimostrare quello che accadrebbe in caso di liberalizzazione della fascia C i ricercatori del Resc hanno preso a esempio la distribuzione delle parafarmacie in una piccola provincia come quella di Chieti: tutti gli esercizi di vicinato, corner Gdo compresi, sono concentrati nelle zone a maggiore redditività e risultano invece inesistenti nelle aree dove invece sono presenti le farmacie rurali. «Oggi» ha commentato il presidente di Federfarma, Annarosa Racca «il titolare di una piccola farmacia fa mille sacrifici. Chi potrebbe costringerlo a rimanere lì, sapendo che potrebbe aprire un esercizio farmaceutico in un grande centro urbano ed essere presto equiparato a una farmacia vera e propria?». «I consumatori» ha aggiunto il segretario generale dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona «vogliono liberalizzazioni che possano tradursi in benefici concreti», come una razionalizzazione degli orari di apertura e confezioni che evitino sprechi di farmaci.
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