Politica e Sanità
30 Novembre 2011«È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme» che comprenda «la piena liberalizzazione dei servizi professionali» e dei «servizi pubblici locali», da perseguire attraverso «privatizzazioni su larga scala». Ecco che cosa c’è nella lettera inviata ai primi di agosto dalla Banca centrale europea al governo italiano per invitarlo a quelle «riforme strutturali» che l’Ue considera tappa obbligata sulla strada della ripresa comune. Il testo originale l’ha pubblicato ieri il Corriere della Sera e conferma quello che già molti giornali avevano anticipato nelle settimane passate: l’Italia non è marcata a uomo come la Grecia, ma la “ricetta” che Atene ha dovuto ingoiare per evitare il fallimento dovrebbe essere d’ispirazione anche per noi. Così almeno consigliava la Bce prima della Manovra di Ferragosto, alla prova dei fatti severa in termini economici ma tutto sommato benigna per le professioni. Ora però, con un nuovo decreto per lo sviluppo in cantiere al ministero delle Finanze e le pressioni di Confindustria per una coraggiosa lenzuolata di riforme, le professioni tornano a trattenere il fiato. E se in Federfarma fanno notare che nella ricetta imposta alla Grecia dall’Europa c’erano sì le liberalizzazioni ma non per le farmacie, da Fofi arrivano commenti piccati. «Per cominciare» è la riflessione del presidente della Federazione, Andrea Mandelli «è da dimostrare che gli Ordini sanitari italiani attuino uno sbarramento all’accesso che non sia la logica verifica dei requisiti soggettivi, dal titolo di studio all’esame di abilitazione». Per Mandelli, in sostanza, il richiamo della Bce non riguarderebbe le professioni sanitarie: «la regolazione voluta dal nostro paese» ricorda «ha anche il fine di assicurare la qualità della prestazione resa dai professionisti: la tenuta di un Albo garantisce, ogni qual volta si visita un medico o si chiede un consiglio al farmacista, la certezza di avere di fronte una persona che ha conseguito una laurea, svolto un tirocinio e sostenuto un esame di abilitazione». Di qui il sospetto che slancio per le riforme possa mirare invece ad altro. «C’è da chiedersi» conclude Mandelli «se non si voglia piuttosto liberarsi del fastidio di professionisti con un codice deontologico e precisi obblighi formativi, per lasciare il posto a società di capitali libere di massimizzare i profitti, magari da investire in derivati. Temo davvero che come al solito ci sia la volontà di stendere una cortina fumogena distraendo l’attenzione dai reali problemi non solo dell’Italia ma dell’Unione europea, che certo non vedono al primo posto la liberalizzazione delle professioni sanitarie».
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