Politica e Sanità
30 Novembre 2011Una buona notizia tra tante preoccupazioni per i titolari di farmacia. Nel maxiemendamento alla legge di stabilità presentato ieri dal Governo perché sia approvato dalle camere entro la fine della settimana, non c’è più traccia di articoli o commi diretti a liberalizzare le farmacie pubbliche. Resterebbero quindi confermate le disposizioni impartite dalla cosiddetta Manovra bis (la legge 148/2011), che all’articolo 4, comma 34, escludeva i presidi comunali (assieme ad altre attività) dalla cessione a privati dei servizi municipali. «Gli allarmi lanciati da alcuni quotidiani nelle settimane scorse» osserva Francesco Schito, vicepresidente di Assofarm «ci avevano sorpreso, a noi non risultavano esistessero rischi di questo genere». Tutto è bene quel che finisce bene, anche se lo scampato pericolo non significa che i comuni continueranno a tenersi strette le proprie farmacie. «In queste settimane si sono sentite diverse inesattezze» prosegue Schito «la verità è che tranne rari casi le farmacie non solo non sono una zavorra per i bilanci municipali, ma anzi sovente apportano utili. Quello che temiamo in base ai segnali captati in giro per l’Italia, quindi, è che a fronte delle difficoltà determinate dai tagli ai trasferimenti, le amministrazioni possano vendere per fare cassa. E’ un’ipotesi che in questo periodo un numero crescente di comuni sta valutando». Le stesse considerazioni valgono anche per lo spinoso tema delle prelazioni: «Ci sono comuni che fanno scattare l’opzione sulle farmacie di nuova istituzione e poi le vendono senza neanche averla aperta. Non a caso, nel 2010 tra aperture e chiusure di farmacie comunali abbiamo registrato un saldo positivo di circa una trentina di presidi; e nel 2009 erano addirittura una sessantina».
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