Politica e Sanità
28 Maggio 2012«Perché chi perde il lavoro deve pagare, nonostante le difficoltà, la quota dell’Enpaf? Perché gli ordini, nel loro statuto, prevedono che si debba essere iscritti, anche se si è disoccupati?». Sono queste alcune questioni che sono state sollevate nel forum di Farmacista33 da un lettore, che reclama scarsa attenzione alle problematiche «più serie». Abbiamo girato le domande a Heriberto Arrigoni, presidente del Conasfa, la Federazione delle associazioni dei farmacisti non titolari.
Dottor Arrigoni, per quella che è la sua percezione, in che misura i licenziamenti interessano il settore?
Questo è certamente un momento difficile per le farmacie, a causa delle numerose misure di contenimento della spesa, ma anche dell’apertura all’orizzonte di nuove sedi. Di difficoltà per i collaboratori ce ne sono, soprattutto per chi ha il contratto a termine, ma forse al momento la contrazione del mercato del lavoro è più sentita tra gli informatori farmaceutici. In ogni caso, va detto che non è d’aiuto l’interconnessione, stabilita dal decreto Cresci Italia nella sua versione definitiva, del numero dei farmacisti con il fatturato. Legare questo numero, al contrario, alle ricette inviate o al servizio offerto avrebbe potuto rappresentare una tutela del posto di lavoro.
Veniamo alla questione Enpaf. Perché pagarlo se si è senza lavoro?
Come Conasfa, abbiamo avanzato all’ente pensionistico la proposta di estendere il contributo di solidarietà a tutti gli iscritti che non hanno un’altra previdenza e, soprattutto, di trasformare il versamento da percentuale a quota fissa, con l’effetto di una maggiore sostenibilità (44 euro, contro 160 o 650 euro per gli iscritti prima del 2004). Altra misura da attuare è la distinzione tra part time e tempo pieno.
Cosa ne pensa della possibilità di una sospensione dall’Ordine nel caso di disoccupazione?
Potrebbe essere un’idea, a patto che si possa dimostrare la perdita del lavoro.
È d’accordo con chi rileva minore ascolto e rappresentatività dei collaboratori?
È vero che molti Ordini sono composti per lo più da titolari e che il fenomeno non rispecchia la realtà dei farmacisti, che sono nella maggioranza non titolari. Però è anche vero che ci sono Ordini, come quello della mia provincia, Pordenone, in cui la maggior parte dei consiglieri è costituita da non titolari. Il mio invito è di portare avanti le proprie istanze attraverso gli strumenti che il sistema ci offre. Per quanto ci riguarda, cuore della nostra attività sono le associazioni territoriali: creiamone di nuove laddove mancano e partecipiamo alla vita delle istituzioni, per far conoscere le nostre problematiche e diventare una forza anche numerica.
Francesca Giani
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