Politica e Sanità
05 Giugno 2012Che la crisi stia colpendo il settore farmacia, andando a interessare anche i livelli occupazionali, è un fenomeno che la Fofi aveva previsto già da tempo, anche come conseguenza del processo di liberalizzazione del comparto avviato con il decreto Cresci Italia. E tra le possibili soluzioni che potrebbero alleviare il disagio c’è la riforma della remunerazione, con una differenziazione tra prestazione e margine. Ce ne parla Andrea Mandelli, presidente della Federazione.
Crisi crescente e aumentata disoccupazione tra i collaboratori: qual è la percezione di Fofi? Quali possibili interventi a sostegno dell’occupazione?
Che cominciassero a presentarsi dei segnali di difficoltà, in misura differente da Regione a Regione, lo avevamo segnalato già da tempo e avevamo fatto presente a chi parlava di rilancio dell’economia attraverso le liberalizzazione del settore di considerare che l’unico effetto sarebbe stato mettere in crisi la stabilità economica di molte farmacie, con inevitabili riflessi occupazionali. Siccome il sistema farmacia non può più assorbire tutti i neofarmacisti e occorrono sbocchi alternativi qualificati, avevamo presentato più di un anno fa i risultati dello studio del nostro Osservatorio sulla professione Fofi-Sda Bocconi. In quella ricerca venivano identificati, infatti, i nuovi ruoli che industria, ricerca e servizio sanitario potevano offrire al farmacista, posto che si procedesse ad attivare percorsi di formazione ad hoc. Detto questo, è evidente che la tendenza può essere invertita cambiando il metodo di remunerazione: è senz’altro legittimo che le Regioni vogliano pagare sempre meno i medicinali rimborsati, ma allora bisogna retribuire la prestazione resa dal farmacista in modo differente dal margine commerciale. Questo, ovviamente, significa anche aumentare le prestazioni e i servizi resi dalla farmacia: dal rafforzamento della compliance alle campagne di prevenzione e tutti gli altri servizi su cui da tempo la Federazione sta facendo cultura – e i risultati si cominciano a vedere. Non solo, così, saranno necessari più collaboratori, ma la loro presenza sarà sostenibile economicamente.
È giusto continuare a pagare l’Ordine anche quando si è disoccupati o si potrebbe pensare a una deroga?
Vorrei premettere che le quote di iscrizione sono ferme da tempo immemorabile nella maggioranza dei casi. La cosa fondamentale è che gli Ordini dimostrino di saper impiegare quanto ricevono a favore dei colleghi, in particolare i giovani e i disoccupati. C’è da segnalare infatti che negli ultimi tempi si nota una migrazione di iscrizioni verso gli Ordini con la quota più bassa. In questa direzione ho in mente una proposta che presenterò al prossimo Consiglio nazionale che, se condivisa, rappresenterà una novità importante soprattutto per i colleghi giovani e in difficoltà.
C’è chi segnala una mancata rappresentatività dei collaboratori all’interno degli Ordini. Cosa ne pensa?
A Pordenone, per esempio, il presidente è il dottor Maschio, che è un collaboratore, così come lo è il dottor Carmagnini, presidente dell’Ordine di Firenze, e il nostro delegato Regionale delle Marche, Luciano Diomedi, presidente di Macerata, è un dipendente di una farmacia comunale e l’elenco potrebbe continuare. Che dire? Forse i loro colleghi sono andati a votare numerosi, forse la rappresentanza di una componente nasce dal suo impegno nella vita dell’Ordine stesso. E comunque, quando si è chiamati a rappresentare la professione nella sua interezza si è a disposizione di tutte le componenti, come dimostra la continua collaborazione tra Ordini, Federazione e rappresentanze dei collaboratori, degli ospedalieri e anche, come nel caso della questione del concorso straordinario, dei colleghi che finora avevano lavorato nell’industria.
Marco Malagutti
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