Politica e Sanità
11 Giugno 2012Le rotture di stock non sono un grattacapo soltanto in Italia. Anche in altri paesi il fenomeno è da tempo causa di attriti tra i diversi attori della filiera: in Francia, per esempio, i titolari accusano i grossisti di pensare più alle esportazioni parallele che alle farmacie, in Gran Bretagna invece sono i produttori ad avercela - per la stessa ragione - con le farmacie e a difendersi praticando gli stessi contingentamenti che i titolari sperimentano qui in Italia. Il fenomeno però ha ormai raggiunto proporzioni tali che in qualche capitale europea si comincia a pensare alle contromisure. È il caso di Parigi, dove il ministero della Sanità aveva annunciato a marzo un progetto di decreto diretto a garantire la continuità degli approvvigionamenti: nel testo, tra le altre cose, si prevedeva l’istituzione di una rete di approvvigionamento diretto industria-farmacia da far scattare in caso di ritardi nelle consegne superiori alle 72 ore. Con la sconfitta di Sarkozy alle recenti presidenziali quel progetto (criticato dai distributori e accolto freddamente dalle farmacie) è finito in un cassetto, ma non è detto che il governo Hollande possa recuperarlo anche in parte. In Inghilterra invece si è arrivati ai fatti: attraverso una delibera della Mhra (l’Agenzia britannica del farmaco) dal prossimo luglio le farmacie che non dispongono di una licenza per la distribuzione all’ingrosso non potranno più svolgere attività di intermediazione. La decisione, applaudita dall’associazione dei produttori inglese (l’Abpi), dovrebbe arginare un fenomeno che Oltremanica ha raggiunto dimensioni impressionanti: secondo una recente ricerca condotta su un campione di 66 farmacie, nelle due settimane messe sotto osservazione si sono registrati 415 casi di rottura di stock. E 94 di questi hanno provocato nei pazienti angoscia per il proprio stato di salute o la continuità della terapia.
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