Politica e Sanità
08 Ottobre 2012Uno studio pilota realizzato in Gran Bretagna, per ora su nove farmacie, finalizzato allo screening delle patologie trasmesse per via ematica, ha portato a un elevato numero di diagnosi, nonostante il numero delle persone che si sono sottoposte ai test sia stato inferiore alle attese. L’iniziativa rientra in un progetto più ampio di strategia contro le epatiti lanciato in tutta l’Inghilterra in collaborazione con Hepatitis C trust. Le farmacie coinvolte hanno offerto i test per epatite C. B e Hiv a clienti ad alto rischio, come per esempio tossicodipendente. Chi accettava riceveva anche un questionario sull’accertamento del rischio da compilare in aree della farmacia riservate alle attività di counseling. Quando i risultati tornavano al farmacista, questi li consegnava al paziente in un incontro faccia-faccia e organizzava un appuntamento presso servizi specialistici quando necessario. Il progetto ha avuto un buon successo, stando a quanto riportano alcuni farmacisti attivi nell’iniziativa e i risultati sono stati inseriti in un poster presentato alla Health protection 2012 conference. Nel complesso, considerando che due farmacie non hanno eseguito nessun test, le altre sette hanno screenato 61 persone in 10 mesi di attività. Di questi 19 (31%) sono risultati positivi al test: 2% per l’Hiv, 26% positivi per l’epatite C e il 3% per epatite B. I dati, dicono i ricercatori che stanno seguendo il progetto, sono coerenti con quelli raccolti in altri ambiti sanitari. Secondo le stime della Health protection agency del 2010, infatti, i casi di Hiv sono stati rilevati nello 0,7% dei test effettuati nelle cure primarie e nell’1,2% di quelli eseguiti in cliniche per la salute sessuale. La diagnosi di epatite C era più rara nella medicina di base, 2,9% ma saliva nelle carceri, 14,7% e nei servizi per le tossicodipendenze 17,7%. E, infine, per l’epatite B i casi positivi erano 1,6% nella medicina di base.
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