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Politica e Sanità

19 Ottobre 2012

Accordo su remunerazione, c’è chi dice no


«La fine della farmacia». Proprio non va giù a Franco Caprino, presidente di Federfarma Lazio, l’accordo raggiunto tra Aifa, Federfarma, Adf e Assofarm sulla nuova remunerazione di farmacie e grossisti. «Sono ancora in corso le simulazioni, ma dai primi rilievi fatti dai nostri commercialisti le ricadute sono pessime per la farmacia». Il nuovo sistema, spiega Caprino «è fortemente penalizzante per i farmaci sopra gli 8 euro, riducendone notevolmente il margine. In più» continua «svincola la farmacia dal prezzo del farmaco perdendo ogni aggancio con l’economia reale e con il valore del bene ceduto sia per quanto riguarda il Ssn sia per la vendita al pubblico». Il problema, secondo il presidente di Federfarma Lazio, risiede nel valore della quota proporzionale, 3,3%, troppo basso, «per cui la vendita di un farmaco di circa 100 euro porterà un utile di circa 4 euro senza considerare gli interessi passivi». È a rischio il futuro, secondo il farmacista romano, che sottolinea anche come manchi una menzione al rientro nelle farmacie dei farmaci ex-osp2 e innovativi come, invece, «più volte ribadito, in tutte le sedi, dalla dirigenza nazionale di Federfarma». Sulla base di queste valutazioni Caprino annuncia la volontà emersa dal consiglio Assiprofar Federfarma Roma di votare contro il pre-accordo all’assemblea nazionale del 23 ottobre.
Perplessa anche l’Anpi, che in un comunicato, parla di spending review mancata. «Non si comprende perché mai le regioni possano acquistare i farmaci direttamente dalle aziende farmaceutiche con uno sconto di almeno il 50%, mentre per quelli distribuiti dalle farmacie debba pagare alle stesse aziende farmaceutiche un importo pari al 65% del prezzo dei farmaci, con una perdita secca di almeno un miliardo di euro. Un regalo alle aziende farmaceutiche e magari anche ai distributori intermedi? E ancora» continua la nota «ci interroghiamo sul perché Federfarma non abbia preteso l’allineamento dei prezzi di acquisto visto che con esso si sarebbe favorito il passaggio dei farmaci in Dd e Dpc verso la farmacia? Non vorremmo» conclude la nota «che qualche Regione fosse tentata di mantenere la differenza di prezzo sull’acquisto dei farmaci, allo scopo giustificare una struttura organizzativa e gestionale, voluta da politici e funzionari regionali al solo scopo di avere occasioni di spesa ovvero generare posti di lavoro pubblici tanto utili per il consenso politico». 

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