Politica e Sanità
18 Marzo 2013In Gran Bretagna ci si confronta con problemi sanitari simili ai nostri e, nell’ambito della discussione in atto sulla continuità assistenziale, Nhs Alliance (l’organizzazione no profit che supporta e rappresenta i professionisti che si occupano di cure primarie) ha emesso un importante manifesto. Nelle 28 proposte chiave del documento si sostiene con forza la necessità di una collaborazione dei diversi professionisti della salute: medici di base, farmacisti e infermieri devono fornire servizi integrati nelle 24 ore. Premessa essenziale è che vengano assicurate risorse adeguate, spostandole dall’assistenza secondaria a quella primaria. Interpellati in proposito da Farmacista33, Paolo Vintani, vicepresidente di Federfarma Milano e Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di Medicina generale si sono detti del tutto favorevoli allo sviluppo della medicina sul territorio. Paolo Vintani ritiene essenziale che la figura del farmacista non venga esclusa da questa nuova modalità assistenziale, ricordando che «la vendita del farmaco in farmacia è innanzitutto una garanzia di filiera». Ma il farmacista non è solo un dispensatore di farmaci e «l’ipotesi di una medicina del territorio efficace e vicina al paziente non può certo farne a meno». Che la continuità di assistenza comporti una riorganizzazione degli orari non lo spaventa di certo: «noi fondamentalmente lo facciamo già, abbiamo già i turni notturni e in Federfarma Lombardia organizziamo addirittura la consegna dei farmaci a domicilio». Il ruolo del farmacista si arricchisce di aspetti che spesso si tende a dimenticare. «La farmacia – spiega Vintani - rappresenta un punto di riferimento anche rispetto al ruolo di drug monitor; si tratta di seguire il paziente in ogni casa. Il controllo dell’uso del farmaco è certamente molto più efficace se a telefonare non è l’operatore di un call center ma il farmacista, grazie a un rapporto storico e consolidato, particolarmente evidente nei piccoli centri».
Ovidio Brignoli, considera l’organizzazione della medicina generale inglese come un modello, non da imitare ma certamente da emulare. In tema di medicina territoriale, nel nostro Paese ci sono gap da superare e alcune problematiche da affrontare: «intanto abbiamo una scarsa quantità di medici che lavorano in aggregazioni. Il decreto Balduzzi e alcuni orientamenti ultimi normativi - mi riferisco al provvedimento del ministro Fazio di agosto del 2011 sulle farmacie come presidio sanitario - vanno esattamente in questa direzione e mi spiace se qualcuno li legge come un’idea di consolidamento del potere dei farmacisti contro i medici». Una diversa organizzazione dell’offerta sanitaria è resa necessaria in primo luogo dall’aumento di persone sofferenti di patologie croniche. «Il Paese va verso la cronicità, che ha bisogno di un’elevata territorialità di cure»: secondo Brignoli bisogna mettere insieme tutte le risorse per affrontare queste patologie e lasciare l’ospedalizzazione ai soli eventi acuti. «Detto questo - ribadisce il vicepresidente Simg - sono orientato favorevolmente al fatto che ci sia a livello territoriale un presidio con più figure sanitarie, il medico di medicina generale, il farmacista di territorio, l’infermiere e, se sarà necessario, lo specialista, in modo da rispondere in prima istanza ai bisogni di salute dei cittadini». Compito di Stato e Regioni è garantire risorse adeguate, ma «serve anche una cultura: l’idea che i medici siano in grado di lavorare non da soli ma insieme ad altri operatori sanitari è un problema culturale. Ma non vedo altra via rispetto a questa».
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