Politica e Sanità
07 Maggio 2013I budget ristretti a disposizione di farmacisti ospedalieri e oncologi, limitano l''adozione di terapie antitumorali mirate e spesso salvavita. È questo lo scenario delineato dallo studio del Centro studi Sic sanità in cifre di FederAnziani sul trattamento del cancro al colon retto metastatico nelle strutture sanitarie in Italia. Lo studio ha valutato le criticità che impediscono la diffusione omogenea di terapie innovative su tutto il territorio nazionale, attraverso lo strumento del questionario rivolto a tre diversi target: pazienti affetti da metastasi derivanti dal cancro colorettale, medici specialisti oncologi e farmacisti ospedalieri prevalentemente appartenenti a strutture pubbliche. Il 68% degli oncologi evidenzia di non aver sempre ricevuto il farmaco richiesto dalla farmacia, ritenendo, nell''82% dei casi, che la restrizione sia dovuta al contenimento del budget. Inoltre, il 68% degli oncologi dichiara che non tutti i farmaci biologici sono sempre disponibili nella farmacia ospedaliera. Un medico su cinque (18%) dichiara di avvertire pressione sulla scelta prescrittiva proprio in seguito alla scarsità di risorse economiche, mentre per circa il 75% sono le linee guida regionali o locali ad esercitare una pressione sulla scelta prescrittiva. In ogni caso, praticamente tutti i medici (94%) non sono d''accordo con le limitazioni imposte e (89%) di aver rilevato stress organizzativi legati alla riduzione dei budget aziendali nell''ultimo anno. Una netta maggioranza (76%) ritiene che le politiche economiche della struttura influenzeranno le sue scelte nel prossimo futuro in tema di comportamento prescrittivo. Esiste anche un problema di appropriatezza di cure, dal momento che oltre il 35% delle strutture non fa profilazione tramite i test genetici del tumore al colon retto. I test genetici relativi al Kras, là dove vengono prescritti, sono effettuati all''interno della struttura in cui opera il medico solo nel 38% dei casi, mentre nel restante 62% dei casi vengono effettuati in strutture esterne. Ciò comporta, da quanto emerge, forti differenze nella tempistica di refertazione: quando il test è effettuato internamente nel 33% dei casi occorrono infatti più di 15 giorni, mentre quando il test è effettuato in strutture esterne si superano i 15 giorni in ben il 47% dei casi.
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