Politica e Sanità

01 Ottobre 2013

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Liberalizzare la fascia C significa erodere il 30% dei redditi provenienti dalla vendita di medicinali con ricetta (fascia A più C) delle farmacie e circa la metà di quelli dei piccoli presidi con un effetto a cascata anche sul fatturato dell’extra farmaco. Ad affermarlo Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, commercialisti dello studio Guandalini, che hanno calcolato il peso reale della fascia C sulla marginalità delle farmacie (tema trattato nel numero in uscita di Puntoeffe n.15). «Prendendo i dati più recenti, pubblicati dall’Osmed e da Ims Health, il valore netto della fascia A, ottenuto detraendo l’Iva e gli sconti al Ssn, è di circa 9,36 miliardi, mentre la fascia C si attesta a circa 2,71 miliardi. Tradotto in percentuale, la fascia C rappresenta poco meno del 23% del fatturato dei medicinali a prescrizione». Un dato, però, che non ancora parla dell’incidenza sui guadagni della farmacia: «Per capire il peso reale di questa classe di farmaci, occorre ragionare in termini di redditività. Da questo punto di vista l’incidenza della fascia C è più alta e si attesta a circa il 30%: in parole povere, dei margini derivanti dai farmaci con ricetta, un euro su tre arriva dalla fascia C. E questo dato è destinato ad aumentare nel tempo». Risultato: «liberalizzare la fascia C equivale a pregiudicare un terzo dei margini della farmacia. Senza contare l’effetto a cascata sugli altri settori del fatturato: è chiaro che chi acquista un farmaco spesso prende anche altro. C’è poi una considerazione da fare: un conto è l’impatto che l’operazione avrebbe su una farmacia di un centro commerciale, dove magari buona parte del fatturato viene dall’extrafarmaco, e un conto è l’impatto sulle piccole farmacie, dove il fatturato Ssn può arrivare anche ai due terzi del totale. In queste situazioni la tenuta economica verrebbe messa a dura prova».

Francesca Giani