Politica e Sanità
06 Aprile 2014Che la Facoltà di farmacia debba cambiare è ormai un fatto consolidato, l’idea del numero chiuso, invece, continua a essere motivo di contrasto. Si potrebbe riassumere così la sessione svoltasi nella mattinata conclusiva di FarmacistaPiù e organizzata dal Movimento nazionale liberi farmacisti, «un’occasione di confronto» spiega il presidente dell’Associazione Vincenzo Devito «e di proposte sui nuovi sviluppi per la professione». «La professione ha un appeal calante» sottolinea Fabio Romiti, vicepresidente del Mnlf «e il dato della diminuzione degli immatricolati è sotto gli occhi di tutti, ma è possibile fare modifiche senza stravolgimenti legislativi». La chiave, secondo il rappresentante dei liberi farmacisti sta nella specializzazione «per i farmacisti esiste la possibilità di “spendere” la laurea in maniera diversa, penso a settori come l’industria o la Pubblica amministrazione» sottolinea Romiti. «Se si va nella direzione della specializzazione non si pone più il problema del numero chiuso». D’accordo sulla necessità di modificare il corso di laurea è Ettore Novellino, presidente della Conferenza dei presidi della facoltà, che ha innescato il dibattito nei mesi scorsi. «Le competenze vanno rivisitate e vanno formate persone che diano nuove risposte. L’Università è pronta a questo passaggio e ci sono facoltà che già si sono aperte al cambiamento. A Napoli, per esempio» aggiunge Novellino «ci stiamo già muovendo verso la specializzazione in aree come quella gestionale o quella della nutraceutica e della cosmeceutica. Quando sarà completata la ridefinizione del corso di laurea si passerà a regolare gli accessi sulla base delle necessità effettive. La definizione delle attribuzioni professionali» conclude Novellino «è ferma al 1956. Non si può prescindere da una riforma dell’esame di stato e perché un farmacista si iscriva all’albo è necessario che sappia fare le cose che sono scritte nella Gazzetta ufficiale». D’accordo sulla necessità di adeguamento dell’esame di stato è anche Maurizio Cini, professore ordinario all’Università di Bologna che sottolinea «il programma dell’esame di stato è inadeguato e risale al 1957. L’Università deve saper cogliere le modifiche generazionali, ma non trascurare i fondamenti della professione. Anche l’Ecm» conclude Cini «deve adeguarsi ai cambiamenti e l’Università deve diventare elemento di formazione continua» (M.M.)
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