invecchiamento
28 Ottobre 2025Una nuova ricerca, pubblicata sul British Journal of Dermatology, mostra che il microbioma della pelle gioca un ruolo chiave nell’aspetto dell’invecchiamento precoce e che può essere modulato con prodotti topici mirati, aprendo nuove prospettive nella cosmetica anti-age

Il microbioma cutaneo potrebbe diventare un nuovo target nella prevenzione dell’invecchiamento della pelle. È quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori cinesi e pubblicato sul British Journal of Dermatology, che per la prima volta ha indagato la relazione tra composizione microbica e comparsa precoce dei segni del tempo. L’indagine, realizzata su donne sane di età compresa tra 40 e 50 anni, suggerisce che la modulazione del microbioma attraverso formulazioni topiche specifiche può influenzare visibilmente l’aspetto cutaneo.
L’invecchiamento cutaneo è un processo complesso, influenzato da fattori intrinseci (genetici, ormonali, metabolici) ed estrinseci (raggi UV, inquinamento, stili di vita). Non sempre però l’età anagrafica coincide con l’età percepita, in quanto alcune persone, pur avendo la stessa età, mostrano più rughe, macchie o perdita di tono rispetto ad altre.
L’analisi ha rivelato che la pelle delle donne con invecchiamento precoce (PA) presentava molti più Acinetobacter, batteri legati all’età avanzata, e meno Cutibacterium, tipici invece delle pelli giovani e sane. Inoltre, pur non emergendo differenze significative nella varietà complessiva delle specie, le reti di interazione microbica apparivano più fragili e meno connesse nelle PA, a differenza delle DA (delayed agers), che mostravano un microbiota più stabile e resiliente.
Per verificare un possibile intervento, le donne del gruppo PA hanno utilizzato per quattro settimane un prodotto cosmetico contenente retinil propionato, precursore del retinolo. Oltre a una riduzione visibile di rughe e pori e a un miglioramento di idratazione, luminosità, elasticità e funzione barriera, l’intervento ha portato anche a una rimodulazione del microbioma. In particolare, la perdita d’acqua transepidermica è calata di circa il 20%, segno di una barriera cutanea più forte, mentre la presenza di Acinetobacter è scesa dal 5% a poco più dell’1%. Contestualmente, la rete microbica è tornata più robusta, avvicinandosi alla configurazione osservata nelle DA.
L’idea di affiancare agli ingredienti anti-age tradizionali un approccio orientato al microbioma potrebbe quindi portare alla nascita di formulazioni capaci non solo di migliorare l’aspetto della pelle, ma anche di sostenerne l’ecosistema microbico. In questa visione, il microbioma cutaneo diventa una vera e propria firma biologica dell’invecchiamento, un target da preservare e riequilibrare per mantenere la pelle giovane più a lungo.
Lo studio presenta alcuni limiti, legati sia alla breve durata dell’intervento sia al fatto che abbia coinvolto esclusivamente donne cinesi in una fascia d’età specifica, senza considerare variabili importanti come lo stato ormonale, che può influenzare in modo significativo sia la pelle sia il microbioma. Nonostante ciò, i risultati sono promettenti, in quanto dimostrano che il microbioma cutaneo non è soltanto un indicatore passivo dello stato della pelle, ma potrebbe essere parte attiva nel determinare l’aspetto dell’invecchiamento.
Fonte
https://academic.oup.com/bjd/advance-article/doi/10.1093/bjd/ljaf098/8239478
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