Nutrizione
18 Luglio 2024Il rischio di sviluppare allergie alimentari è associato al consumo di additivi, conservanti, alimenti ricchi di zuccheri e grassi e poveri di acidi grassi a catena corta, e più in generale gli alimenti ultraprocessati
Il rischio di sviluppare allergie alimentari è associato al consumo di additivi, conservanti, alimenti ricchi di zuccheri e grassi e poveri di acidi grassi a catena corta, e più in generale gli alimenti ultraprocessati. Al contrario, la dieta mediterranea, già durante l'allattamento e la gravidanza, e una dieta ricca di frutta e verdura durante l'infanzia, sono associate a un rischio ridotto di allergie alimentari. Del possibile legame tra l’esposizione a sostanze irritanti e lo sviluppo di allergie alimentari ne ha parlato Virginie Doyen, pneumologa presso l'Ospedale Universitario di Namur in Belgio in occasione del Congresso Francofono di Allergologia (CFA). L’esperta ha chiarito i meccanismi coinvolti e i fattori predisponenti (genetici, epigenetici, ambientali interni ed esterni).
Le allergie alimentari sono associate a un'alterazione della barriera epiteliale digestiva e i dati sperimentali suggeriscono che alcuni irritanti possano contribuire a questo fenomeno, rendendoci più suscettibili alle reazioni infiammatorie e a risposte immunitarie inappropriate.
Le cattive abitudini alimentari, infatti, possono progressivamente alterare i sistemi protettivi a livello intestinale e permettere agli allergeni alimentari di sensibilizzare l'organismo. Una delle ipotesi che spiega questo effetto è che la mancanza di fibre alimentari stimoli la degradazione del muco intestinale attraverso il microbioma.
Il muco intestinale, spesso trascurato dalla ricerca scientifica, svolge un ruolo fondamentale nell'intestino limitando l'esposizione agli antigeni e mantenendo la tolleranza immunitaria. È ricco di glicoproteine, carboidrati, peptidi antimicrobici e IgA. È anche un habitat per la flora commensale, che ha effetti immunomodulatori e può degradare questo muco se modificata dalla nostra dieta. Inoltre, i dati mostrano che il contatto con cibi ultraprocessati riduce l'occludina, un componente delle giunzioni strette tra le cellule epiteliali, che garantiscono la coesione della barriera intestinale, e la proteina ZOT1, che regola tali giunzioni.
Gli allergeni e altri irritanti possono quindi attraversare la barriera intestinale ed arrivare nel sangue. A seguito dell'esposizione ai prodotti di glicazione avanzata, i ricercatori hanno poi osservato un aumento della produzione di citochine proinfiammatorie di tipo T helper 2 (Th2) da parte delle PBMC e dei segnali di allarme interleuchina (IL)-25 e IL-33, che dirigono la risposta immunitaria di tipo Th2.
Oltre all'effetto di una dieta squilibrata, anche gli agenti chimici possono sensibilizzare allo sviluppo di allergie alimentari. Gli studi hanno dimostrato che gli emulsionanti (come lecitina, carbossimetilcellulosa, sorbitolo, monostearato e polisorbato 80) che solubilizzano le fasi acquose e oleose, influiscono a livello intestinale. Le modifiche del microbiota portano ad una maggiore proliferazione di batteri che esprimono più molecole proinfiammatorie come flagelline e lipopolisaccaridi. Per quanto riguarda i detergenti (es. residui di detergenti per lavastoviglie e prodotti di risciacquo sui piatti), i ricercatori hanno osservato che, quando i tessuti non sono esposti a questi detergenti, la barriera epiteliale rimane intatta. Tuttavia, se le strutture epiteliali sono esposte ai detergenti, la barriera mostra alterazioni associate a una sovraespressione dei geni coinvolti nella risposta immunitaria e nei processi infiammatori. Anche il sodio dodecil solfato, presente nei dentifrici e in molti saponi ad uso umano, sembra danneggiare l’epitelio intestinale promuovendo l'eosinofilia, l'infiammazione di tipo CD4 linfocita e il rimodellamento dell'epitelio intestinale. Infine, per quanto riguarda le microplastiche (particelle di plastica inferiori ai 5 mm), ormai i dati mostrano come riescano a diffondersi in tutti i tessuti umani e nell’intestino portino allo svilupparsi di stati pro-infiammatori.
Alla luce di questi dati "Sarebbe possibile considerare azioni congiunte in termini di prevenzione e terapia," ha dichiarato Doyen. “Gli approcci terapeutici potrebbero includere trattamenti anti-allarmine, in modo da bloccare a livello epiteliale gli stati infiammatori oltre ad andare ad agire sulle modifiche del microbiota per ripristinare il muco. Va, infine, considerata la relazione dose-dipendenza: limitare la quantità di tutti i prodotti tossici che utilizziamo, senza rinunciarvi completamente, è probabilmente una strada perseguibile.”
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