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22 Settembre 2025

Farmacista prescrittore: mansioni, competenze e inquadramento di un potenziale nuovo profilo professionale

Nuove competenze per il farmacista tra prescrizioni di farmaci per disturbi comuni, gestione dei pazienti dimessi e integrazione nei team multidisciplinari, rappresentano una risposta a bisogni sanitari emergenti. Serve una quadro normativo e il DM77 è una base funzionale da cui partire

di Simona Zazzetta


Farmacista prescrittore: mansioni, competenze e inquadramento di un potenziale nuovo profilo professionale

La gestione dei pazienti dimessi dall’ospedale, il rinnovo dei piani terapeutici per i pazienti cronici, la prescrizione di farmaci per disturbi comuni e a bassa complessità, così come la possibilità di prescrivere in ospedale il primo ciclo di terapia alla dimissione, e l’integrazione nei team multidisciplinari delle Centrali Operative Territoriali con responsabilità cliniche nella revisione e riconciliazione delle terapie, rappresentano possibili nuove mansioni per il farmacista prescrittore. Questa evoluzione della professione, supportata da una cornice normativa a partire dal DM77 e regolata da protocolli condivisi nel rispetto delle diverse professionalità, è stata al centro di un recente convegno promosso dalle farmacie comunali, di cui abbiamo parlato con Andrea Porcaro D’Ambrosio, vicepresidente di Assofarm che ha introdotto i lavori di un convegno su questo tema. 

Dottor Porcaro D’Ambrosio, in Italia si parla ancora in modo esplorativo di farmacista prescrittore. A che punto della sua storia si trova questo profilo professionale e a quali bisogni emergenti potrebbe rispondere?

In Italia il DM77, che promuove la collaborazione tra professionisti, è un alveo di cooperazione, e non di contrapposizione, in cui vediamo un possibile sviluppo del profilo del farmacista prescrittore. Alcuni primi, timidi passi si stanno già compiendo con la discussione di norme che, ad esempio, consentirebbero al farmacista di gestire la presa in carico del paziente dopo le dimissioni dal pronto soccorso, sulla base dell'indicazione dello specialista.

Oggi, parlare di queste sfide è urgente e necessario per tre principali criticità. Innanzitutto, i cambiamenti demografici: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei pazienti cronici comportano una domanda crescente di servizi e una spesa farmaceutica in crescita, che richiede un uso più appropriato delle risorse. In secondo luogo, la carenza di personale sanitario: mancano medici, infermieri e anche farmacisti. Non valorizzare le competenze disponibili sarebbe irragionevole.
Infine, la necessità di una sanità di prossimità e la farmacia, con la sua presenza capillare, rappresenta un presidio spesso unico nei territori interni o periferici. E l’evoluzione da luogo di dispensazione a polo sociosanitario è già avviata con la Farmacia dei Servizi.

La Professoressa Sabina Nuti, già Rettrice di Sciola Superiore Sant’Anna di Pisa e realizzatrice di “Bersaglio” (il Sistema di Valutazione delle Performance dei Sistemi Sanitari Regionali) in seno al Laboratorio Management e Sanità, col suo intervento alla Terza Riunione de L’Officina di Galeno, ha inquadrato perfettamente la soluzione nel concetto di "task shifting", ovvero la redistribuzione razionale dei compiti tra diverse figure professionali e setting assistenziali. Si tratta di riorganizzare il lavoro per rispondere in modo più efficace e sostenibile ai bisogni dei cittadini, superando i corporativismi che spesso bloccano l'innovazione, senza realizzare "invasioni di campi” altrui.

Quali nuove competenze e responsabilità assumerebbe un farmacista prescrittore e in che modo questa evoluzione arricchirebbe un ruolo già riconosciuto?

Le nuove competenze si inserirebbero in un quadro di stretta collaborazione, basato su protocolli condivisi e nel pieno rispetto delle diverse professionalità, come delineato dal già citato DM77. 

Il ruolo potrebbe espandersi in più ambiti: la gestione dei pazienti post-dimissione, la possibilità di rinnovare i piani terapeutici per i cronici, la prescrizione di farmaci per patologie minori, come avviene all’estero. In ospedale, il farmacista potrebbe prescrivere il primo ciclo di terapia alla dimissione, garantendo rapidità e migliore aderenza.

Quale impatto avrebbe sul farmacista di comunità?

Il farmacista di comunità completerebbe la sua trasformazione da professionista di “sola” dispensazione di medicine a professionista sanitario e sociosanitario territoriale. Già presidio di prossimità insostituibile, specialmente in aree interne o periferie, la farmacia diventerebbe un luogo dove il cittadino potrebbe ricevere risposte complete a bisogni di salute a bassa complessità. Questo rafforzerebbe la sua funzione di primo contatto con il SSN, migliorando l'accesso alle cure e decongestionando studi medici e ospedali.

E sul farmacista ospedaliero?

Per il farmacista ospedaliero che già oggi svolge importanti ed ulteriori attività rispetto a quelle tradizionali della sua professione e senza le quali non si avrebbe alcuna sostenibilità del sistema farmaceutico-ospedaliero, invece, il ruolo si arricchirebbe attraverso una maggiore integrazione clinica e responsabilità diretta sul paziente. Il "farmacista di dipartimento" già oggi lavora in team multidisciplinari, partecipando alla revisione e riconciliazione delle terapie. La facoltà di prescrivere consoliderebbe questa funzione, rendendolo co-protagonista del percorso di cura. La sua presenza nelle Centrali Operative Territoriali (COT) per la gestione della transizione ospedale-territorio diventerebbe cruciale per garantire la continuità assistenziale.

Quali benefici concreti potrebbe portare ai cittadini in termini di accessibilità e continuità di cura soprattutto sul fronte della prossimità e della gestione delle cronicità?

Per il cittadino, il beneficio più immediato è un accesso alle cure più semplice, rapido e vicino a casa. Riassumendo per parole chiave: prossimità e capillarità, riduzione dei tempi e semplificazione dei percorsi, continuità terapeutica per i pazienti cronici. Infine, come sottolineato da Cittadinanzattiva, il cittadino si aspetta dal farmacista non solo la prescrizione di farmaci, ma anche di prevenzione, screening e stili di vita corretti. Questo è il vero salto di qualità: una figura che promuove attivamente la salute della comunità, diventando un consulente a 360 gradi.

E al Servizio sanitario nazionale?

I vantaggi si traducono in efficienza e sostenibilità. Il “task shifting” permette di alleggerire i medici di medicina generale dalla burocrazia, consentendo loro di dedicarsi ai casi complessi. Così si riducono liste d’attesa, accessi impropri ai pronto soccorso e pressione sugli ospedali. Infine, è una risposta alla carenza di personale: siamo di fronte a una carenza di medici, infermieri e anche farmacisti. In questo scenario, non utilizzare appieno le competenze di tutti i professionisti disponibili è irragionevole. Il farmacista prescrittore non "ruba" lavoro a nessuno, ma si inserisce in un modello di collaborazione interprofessionale, come previsto dal DM77.

Torniamo all'inquadramento normativo: in Italia ci sono le basi normative o è una prospettiva ancora tutta da costruire?

La prospettiva non è tutta da costruire, ma neanche definita da una norma specifica. Attualmente, non abbiamo una legge ma esiste una solida base di partenza: il Decreto Ministeriale 77. Un primo, timidissimo passo legislativo è già in corso: un emendamento approvato in commissione risolve il problema del foglio di dimissione dal pronto soccorso, abilitando il farmacista a prendere in carico il paziente sulla base dell'indicazione dello specialista.

Il percorso deve essere graduale senza "strappi", ma un lavoro che, partendo dal DM77, definisca ambiti e protocolli chiari, investendo massicciamente nella formazione interprofessionale.

Quali sono le esperienze più interessanti in Europa e nel mondo e quali di potrebbero mutuare per il contesto italiano al netto delle differenze organizzative e culturali?

Nel Regno Unito il farmacista gestisce già da tempo le cosiddette "patologie minori" – come sinusiti, otiti, infezioni urinarie non complicate – con protocolli clinici ben definiti. I risultati clinici sono del tutto simili a quelli ottenuti dal medico, ma i costi per il sistema sanitario sono nettamente inferiori. Da queste esperienze possiamo mutuare principalmente due modelli: uno "dipendente", dove il farmacista agisce sotto la supervisione o in accordo con un medico, e uno "indipendente", dove opera in autonomia sulla base di linee guida precise. 

Un altro caso utile è la Francia, che ha puntato sulla gestione della cronicità, permettendo al farmacista di intervenire sul rinnovo dei piani terapeutici di concerto con i medici di medicina generale.

Per il nostro contesto bisognerebbe partire da ambiti precisi, come le patologie lievi o il supporto ai pazienti cronici. L'esperienza britannica, inoltre, ci insegna che questo percorso richiede un forte investimento nella formazione, arrivando a integrare l'abilitazione alla prescrizione direttamente nel percorso di studi universitario.

Il tema è stato oggetto del vostro convegno a Pisa: quali sono stati i punti di vista emersi dal settore e dalla politica?

La terza Riunione de L’Officina di Galeno ha acceso un faro su questo tema, e l'accoglienza è stata straordinariamente positiva con una convergenza quasi unanime sulla necessità di un'evoluzione della professione, spinta dalle grandi sfide del nostro SSN.

La politica, con interventi molto netti, ha inquadrato la questione nell'interesse generale del cittadino, che deve prevalere su ogni corporativismo.

Dal mondo professionale – SIFO, FOFI e Federfarma – è arrivato un forte sostegno e l’adesione alla realizzazione di un percorso graduale e collaborativo di confronto, che si inserisca nell'alveo normativo del DM77 e giunga a realizzare una proposta concreta secondo una visione comune. Infine, da Cittadinanzattiva è emersa la visione del cittadino che si aspetta un farmacista non solo prescrittore di farmaci, ma prescrittore di salute, capace di promuovere prevenzione e benessere.

TAG: ASSOFARM, FARMACISTA PRESCRITTORE

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