Oasi, cittadini disposti a tollerare nuovi ticket ma non sanità integrativa
Ritorno alle mutue? Non è detto. Tra dieci anni gli italiani sono disposti a tollerare un aumento del ticket, una stretta di cinghia sulle prestazioni inutili, qualche prestazione a pagamento in più, e c'è spazio anche per un aumento di quel 4% di fetta di spesa privata oggi mediata da mutue integrative e non pagata direttamente dai pazienti. Ma per nessuno devono crescere il disagio nell'accedere alle cure e l'attesa. Il dato emerge da due sondaggi con cui il Cergas - centro di ricerche sanitarie dell'Università Bocconi - quest'anno ha voluto accompagnare la presentazione del rapporto Oasi sullo stato delle aziende sanitarie. La prima ricerca è su 6 mila cittadini di varia estrazione culturale, la seconda su 1593 operatori (dipendenti Ssn, medici, etc). Ai cittadini è stato chiesto che cosa desidererebbero nella sanità entro il 2025, agli operatori come vedono il Ssn di qui a 10 anni in assenza di riforme. Tra i cittadini emerge sostanziale divisione «ma anche quanto non viene fuori dai dibattiti tv - dice Francesco Longo direttore Cergas. «Messi alle strette tra le opzioni di aumentare le tasse, aumentare i ticket e introdurre un'assicurazione obbligatoria a latere dell'iscrizione al servizio sanitario i cittadini puntano (media del 20% tra le varie età) sul co- payment che evidentemente difende meglio la natura universale del Ssn». L'opzione assicurazioni veleggia comunque al secondo posto ben al di sopra del 10%. È anche vero che un 50% degli intervistati "non sa" e si rifiuta di rispondere, e i rispondenti crescono in quantità proporzionale al tasso di scolarizzazione. «I cittadini inoltre messi alle strette tra un servizio sanitario che cerchi di tenere gli attuali livelli essenziali di assistenza a costo di far aspettare di più e un Ssn che passi di meno, ma abbattendo le attese sulle cose più importanti, affermano di preferire il secondo. Sono anche disposti a tollerare una maggior componente infermieristica nel percorso terapeutico e tra una rete ospedaliera di pochi grandi ospedali per l'acuzie ("pochi ma buoni") e una rete più ampia di medi ospedali generalisti iniziano a preferire la prima, pur di veder meglio gestite le emergenze». Collimano anche i dati provenienti dagli operatori, che non si attendono grandi riforme sanitarie di qui a dieci anni. Unica discordanza sulla non autosufficienza: in un contesto in cui si sono ridotte "per crisi" le domande d'ingresso nelle residenze assistenziali, i cittadini chiedono minori spese per l'accesso ai servizi sanitario-assistenziali, gli operatori non si aspettano novità favorevoli in questo campo. Dal rapporto Oasi viene fuori anche che il Ssn ha i conti in equilibrio, in pareggio, anche nelle regioni dove il disavanzo è maggiore il gettito atteso l'anno prossimo dall'addizionale Irpef basta a colmarlo. «Ma la sostenibilità è stata ottenuta con tagli lineari che dal 2010 -anno del blocco dei contratti - ad oggi sono costati nelle regioni in deficit una diminuzione del personale sanitario fino al 15% della Campania, tagli di oltre il 30% alla produzione di prestazioni nel privato accreditato, e contrazioni degli stipendi dei dipendenti, tanto che i migliori contabili difficilmente trovano appetibili il 100 mila euro lordi di molti direttori amministrativi Asl. Dall'altra parte è stato tagliato il 30-35% dei letti ospedalieri e invece di crescere la spesa ambulatoriale si è contratta, il Ssn ha offerto meno cure complessive e di questo non se n'è giovato il privato: c'è stata complessiva minor richiesta di salute. Di certo qualcosa dovrà cambiare con il potenziamento delle cure primarie e specialistiche sul territorio».
Mauro Miserendino
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