Ddl concorrenza, l’esperto: troppe contraddizioni. Così è inapplicabile
In attesa che il Ddl concorrenza approdi al Senato per la seconda fase di discussione, non accennano a placarsi le polemiche sul testo così come approvato alla Camera. Secondo il presidente di Asfi Maurizio Cini non mancano le contraddizioni in particolare in relazione alla possibilità di gestione da parte delle società di capitale e al ruolo che all'interno di queste possono rivestire i farmacisti. A margine Cini si rivolge alle parafarmacie chiedendo «perché non hanno mai chiesto ufficialmente al Governo la liberalizzazione delle farmacie» invece che della fascia C? Di seguito l'intervento.
Chi usa il computer per scrivere ben sa che con il copia/incolla bisogna fare molta attenzione e rileggere più volte il testo modificato. In caso contrario, ed in particolare nelle leggi, si può creare un vero e proprio Frankenstein in grado di risultare, di fatto, inapplicabile o, peggio ancora, permetterne un'applicazione arbitraria per non dire "ad personam". È quello che è successo con l'art. 32 del ddl concorrenza, sia nel testo licenziato dal Governo il 20 febbraio scorso e poi modificato in commissione ed infine in Aula lo scorso 7 ottobre quando è avvenuta l'approvazione definitiva dell'intero provvedimento.
L'art. 32, infatti, non ha una vita autonoma ma interviene, modificandoli, su due articoli della legge 8 novembre 1991, n. 362 dal titolo: Norme di riordino del settore farmaceutico. Gli articoli sono il 7 e l'8. Il testo approvato contiene poi una modifica all'art. 2 della legge 475/68 con l'introduzione della possibilità di decentramento in ambito regionale delle farmacie nei comuni sotto i 6600 abitanti e non sussidiate. Viene inoltre introdotta una norma interpretativa di quanto previsto dal "Cresci Italia" in materia di liberalizzazione dei turni e degli orari. Limitandomi a denunciare le contraddizioni dal punto di vista tecnico, e senza quindi entrare nelle questioni di ordine "politico", debbo dire che il testo, così come uscito dall'Aula non è applicabile. Il primo periodo del secondo comma dell'art. 7 recita: "Le società di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia". Si tratta di un errore che si trascina fin dal "Decreto Bersani" del 2006 e che ora, con le società di capitali, risulta particolarmente fuori luogo. Il comma 3 prevede che la direzione delle farmacie gestite in forma societaria (quindi anche quelle che continueranno ad essere di società di persone) possa essere affidata ad un farmacista in possesso dell'idoneità mentre il comma 4 prevede che, in caso di temporaneo impedimento di questo, la direzione debba essere assunta da "un altro socio". In buona sostanza il socio non idoneo - secondo un parere del capo dell'ufficio legislativo del Ministero della salute - non potrebbe assumere la direzione, dovendosi invece avvalere di un collaboratore "idoneo" il quale, se ammalato, non potrebbe altresì essere sostituito dal socio, comproprietario della società. In merito alle incompatibilità, facilmente aggirabili con il metodo delle scatole cinesi e dei gruppi di controllo, vi è da dire che il testo non esclude che un veterinario od un odontoiatra posseggano quote di una srl o di una spa che gestisce "n" farmacie. Meglio sarebbe stato vietare la partecipazione ai professionisti abilitati alla prescrizione di medicinali, in accordo con il disegno di legge governativo sul riordino delle professioni sanitarie.
Mi chiedo infine che senso abbia mantenere l'incompatibilità (art. 8, comma 1, lettera b) per un titolare, direttore, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia, con la partecipazione ad una società di capitali che gestisca farmacie.
Venendo al comma 1-ter aggiunto all'art. 32 del ddl concorrenza, l'unico aspetto che condivido è l'interesse per le farmacie rurali. L'approccio è però criticabile secondo le seguenti considerazioni: 1) Il limite posto a 6559 abitanti per esercitare la facoltà di decentrarsi in regione non sembra congruo in quanto la legge prevede che in un comune con 4951 abitanti "possano" esserci due sedi e con 6600 "debbano" esserci, potendo quindi non essere "soprannumerarie". Inoltre andrebbe considerata non la popolazione dell'intero comune ma quella della località in cui la farmacia ha sede, talvolta anche a decine di chilometri di distanza dal capoluogo. 2) Premesso che l'erogazione del sussidio alle rurali è di competenza regionale e molto diversificato tra le regioni, viene da chiedersi perché escludere la farmacia in un centro abitato di poche centinaia di abitanti solo per il fatto di ricevere un contributo, peraltro spesso esiguo. 3) Assoggettare il decentramento in regione alla priorità della domanda e, soprattutto, mediante una graduatoria per titoli non meglio precisati, può paralizzare l'intero sistema e minare gravemente la capillarità ed il servizio nelle zone più impervie. Se da un lato è infatti logico consentire il trasferimento in zone che garantiscano la sostenibilità economica, dall'altro occorreva prevedere l'istituzione di presidi, come dispensari farmaceutici, al servizio della popolazione quasi sempre anziana, altrimenti priva dell'approvvigionamento dei farmaci. 4) La previsione, infine, di quella che mi sento di definire una vera e propria "gabella" a carico dei titolari che si trasferiscono per sopravvivere e per di più a vantaggio dello stato (tassa di concessione governativa) sembra l'ennesima presa in giro della categoria.
A latere dell'approvazione del testo alla Camera, con la falcidie praticamente di tutti gli emendamenti presentati, occorre dire qualcosa sul tema della "fascia C" - rectius Classe C. Vi è infatti una domanda che mi viene spontanea e che, pur avendola proposta ai massimi rappresentanti delle parafarmacie, non ha ancora ricevuto risposta. Perché non hanno mai ufficialmente chiesto al Governo la liberalizzazione delle farmacie, senza prefisso, accettando magari qualche paletto dettato dal buon senso e dall'esigenza di non scardinare il sistema esistente? Le poche e scarne risposte che ho ricevuto sono vaghe e, soprattutto, prive di documenti comprovanti tale logica e forse anche legittima richiesta. La mancanza di risposte porta quindi a, "andreottianamente", pensar male.
Maurizio Cini Presidente di Asfi
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